Amministrativo

La Pa può imporre la servitù di passaggio sul bene che deve restituire

di Francesco Machina Grifeo

In caso di giudicato restitutorio del bene occupato sine titulo, la Pubblica amministrazione può emanare un atto di imposizione di una servitù di passaggio. Lo ha stabilito l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 18 del 2020 (Pres. Patroni Griffi, Est. Forlenza), affermando diversi principi di diritto ed accogliendo il ricorso di un albergo. La vicenda riguardava gli esiti di un contratto di vendita, tra due privati ed il comune di Pollenza, di un terreno su cui il municipio aveva poi realizzato un parcheggio ed una strada. A seguito di un contenzioso sorto tra le parti, la Corte di appello di Ancona aveva ordinato la nullità della vendita e la restituzione immediata dell'area. A questo punto, dopo aver formulato un proposta di acquisto rifiutata dai proprietari, il comune ha dichiarato l'aera di pubblica utilità imponendo una servitù di passaggio carrabile e pedonale. Sollevato ricorso da parte dei proprietari, il Tar Marche l'ha accolto annullando la delibera comunale che aveva costituito la servitù in quanto il potere "acquisitivo" che la legge riconosce alla Pa (articolo 42 bis Dpr n. 327/2001), in assenza di un valido titolo, è applicabile solo quando agisce nella sua veste di "autorità" e non anche quando si muove sul "versante privatistico". Contro questa decisione ha proposto ricorso una società che gestiva un albergo a cui si accedeva prioritariamente dalla nuova strada realizzata dal comune.

E l'Adunanza Plenaria, a cui la V Sezione ha rimesso la questione, gli ha dato ragione. L'articolo 42-bis, spiega infatti il Collegio, si caratterizza per la sua «natura di "norma di chiusura"» con l'evidente finalità «di ricondurre nell'alveo legale del sistema tutte le situazioni in cui l'amministrazione, quale che ne sia la causa, si trovi ad avere utilizzato la proprietà privata per ragioni di pubblico interesse, ma in difetto di un valido titolo legittimante». «Ne consegue che il dato letterale della norma non osta all'applicazione dell'art. 42 bis nelle ipotesi in cui il difetto di titolo si manifesti per intervenuta declaratoria di nullità ovvero per annullamento del contratto di compravendita». In definitiva, scrivono i giudici affermando un principio di diritto: «l'articolo 42 bis, Dpr 237/2001 si applica a tutte le ipotesi in cui un bene immobile altrui sia utilizzato e modificato dall'amministrazione per scopi di interesse pubblico, in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, e dunque quale che sia la ragione che abbia determinato l'assenza di titolo che legittima alla disponibilità del bene».

Non solo, con un secondo principio, i giudici aggiungono che «il giudicato restitutorio (amministrativo o civile), inerente all'obbligo di restituire un'area al proprietario da parte dell'Amministrazione occupante sine titulo, non preclude l'emanazione di un atto di imposizione di una servitù, poiché questo presuppone il mantenimento del diritto di proprietà in capo al suo titolare». Dunque, prosegue la decisione, «una volta venuto meno il titolo di proprietà, la PA, alla quale è riconosciuto il potere di avvalersi dell'art. 42 bis DPR n. 327/2001, in considerazione di quanto "modificato" sul bene appreso per la realizzazione dell'opera pubblica, può procedere con limitazioni parziali delle facoltà e/o dei poteri connessi al diritto reale del privato, e emanare decreti di imposizione di servitù, in luogo della piena acquisizione del bene medesimo (con corrispondente perdita dell'altrui diritto di proprietà)». Un simile provvedimento, infatti, imponendo ex novo (e, quindi, ex nunc) una servitù, non incide sulla titolarità del bene, e integra una ipotesi del tutto diversa da quella inibita dal giudicato, tra l'altro «presupponente, il mantenimento della proprietà in capo al privato».

Consiglio di Stato – Adunanza plenaria - Sentenza n. 18 del 2020

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