Amministrativo

Obbligo di quarantena, nessuna deroga per lavorare nei campi

Nessuna deroga alla quarantena imposta dal sindaco e dalla regione per prevenire il diffondendersi dell'epidemia da coronavirus. Il Consiglio di Stato, decisione del 30 marzo 2020 n. 1553 (Presidente Frattini), ha infatti respinto la richiesta di sospensione cautelare del decreto di quarantena obbligatoria, con sorveglianza sanitaria e isolamento presso la propria residenza, avanzata da un bracciante agricolo fermato dopo che si era allontanato dalla propria abitazione per andare a lavorare nei campi. Per la III Sezione si deve tener conto che l'eventuale pregiudizio subito è economico risarcibile.

La proponibilità del ricorso - Per prima cosa, Palazzo Spada ricorda che che l'appello di un decreto monocratico cautelare è da ritenersi ammissibile nei soli, limitatissimi casi in cui l'effetto del decreto presidenziale del giudice di primo grado produrrebbe la definitiva e irreversibile perdita del preteso bene della vita, e che tale "bene della vita" corrisponda ad un diritto costituzionalmente tutelato dell'interessato. Nel caso in esame, prosegue, seppure per il limitato periodo residuo (4 giorni) di efficacia temporale del decreto sindacale impugnato in primo grado, la pretesa dell'appellante è di potersi recare al lavoro, di evitare il rischio di licenziamento, e di recarsi, con le limitazioni in vigore, ad effettuare acquisti di beni di prima necessità. Ne consegue che la pretesa tocca diritti tutelati dall'ordinamento anche a livello costituzionale, da cui discende l'ammissibilità dell'appello.

Il ricorso - All'appellante che svolge attività di bracciante agricolo era stato notificato un ordine del Sindaco di Corigliano di quarantena/isolamento domiciliare fino al 3 aprile 2020, per "violazione della ordinanza n.12/2020 del Presidente della Regione Calabria". Il ricorrente, nel censurare il decreto cautelare del Presidente Tar Calabria, sostiene di non essere positivo al virus, né di aver avuto recenti contatti con persone contagiate, nonché di lavorare in un settore non bloccato dai provvedimenti in vigore e lamenta il pregiudizio consistente nel non poter lavorare così rischiando il licenziamento.

La motivazione - Nel merito il Consiglio di Stato ricorda che il provvedimento regionale ed il decreto esecutivo del Sindaco sono stati adottati "in giorni caratterizzati dal pericolo concreto e imminente di un trasferimento massivo di persone e di contagi, dalle regioni già gravemente interessate dalla pandemia, a quelle del Mezzogiorno, con la conseguenza che gli atti dei Governatori hanno, ragionevolmente, imposto misure anche ulteriormente restrittive quale prevenzione".

In questo quadro, "per la prima volta dal dopoguerra", si sono definite ed applicate disposizioni "fortemente compressive di diritti anche fondamentali della persona - dal libero movimento, al lavoro, alla privacy - in nome di un valore di "ancor più primario e generale rango costituzionale, la salute pubblica". Per queste ragioni, prosegue la decisione, "la gravità del danno individuale non può condurre a derogare, limitare, comprimere la primaria esigenza di cautela avanzata nell'interesse della collettività, corrispondente ad un interesse nazionale dell'Italia oggi non superabile in alcun modo".

Inoltre, i giudici osservano che le conseguenze dannose per l'appellante non hanno il carattere della irreversibilità, "giacché nelle disposizioni, statali e regionali, adottate e che verranno adottate a ulteriore completamento e integrazione per fronteggiare il "dopo-pandemia", ci sono misure di tutela del posto di lavoro (oltre alla cassa integrazione), misure di soccorso emergenziale per esigenze alimentari e di prima necessità (non a caso demandate ai Comuni, e dunque anche a quello di Corigliano), tali da mitigare o comunque non rendere irreversibili, anche nel breve periodo, le conseguenze della doverosa stretta applicazione delle norme di restrizione anti-contagio".

Infine, considerato che il periodo di "quarantena" terminerà tra quattro giorni, sarà comunque possibile per l'appellante richiedere un eventuale risarcimento del danno, "salvo che, come è ipotizzabile, detto pregiudizio economico venga riparato dalla normativa di tutela dei lavoratori colpiti dalle generali, e individuali in questo caso, misure di preclusione assoluta".

Consiglio di Stato - Decreto 30 marzo 2020 n. 1553

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