Amministrativo

Pubblico impiego, giurisdizione ordinaria sulla "mobilità"

di Pietro Alessio Palumbo

Nella gestione delle procedure di mobilità dei pubblici dipendenti non residua alcun potere autoritativo di natura pubblicistica in capo alla Pubblica amministrazione che quindi in tal caso agisce in qualità di privato datore di lavoro. Del resto a ben vedere la regolazione dei trasferimenti del personale di qualsiasi ente pubblico, afferisce ad uno dei tanti aspetti riconducibili nell'ambito della gestione del rapporto di lavoro che nulla ha a che vedere con i provvedimenti amministrativi con cui la Pa delinea le linee fondamentali della propria organizzazione: la cosiddetta "macro-organizzazione". Da ciò discende – ha chiarito il Tar del Lazio con la sentenza n.9439 del 9 settembre scorso - che la regolazione e lo svolgimento delle procedure di mobilità riferibili ai dipendenti pubblici, quantunque riferibili ad una Ordinanza Ministeriale, rientrando nella mera sfera gestionale del rapporto di lavoro, sono atti riferibili a posizioni di diritto soggettivo conoscibili non dal Giudice amministrativo bensì dal Giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro.

Atti di macro-organizzazione e atti di micro-organizzazione - Prima della sua "privatizzazione" (Dlgs 29/1993), tutti gli atti emessi dalla Pa datrice di lavoro, sia in materia di organizzazione degli uffici, sia in tema di gestione del rapporto di lavoro, erano atti amministrativi a tutti gli effetti, essendo all'epoca la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze dell'Amministrazione interamente attratta nell'alveo pubblicistico, con giurisdizione "riservata" al Giudice amministrativo. Con la suddetta privatizzazione solo alcuni e peculiari atti emessi dalla Pa rientranti nella sfera del pubblico impiego hanno mantenuto la natura di provvedimenti amministrativi. In particolare gli atti relativi alle procedure concorsuali indette per l'assunzione dei pubblici dipendenti, nonché gli atti regolamentari o atti amministrativi generali e tutti gli atti di "macro-organizzazione". Ebbene il Testo unico del pubblico impiego prevede che le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro siano assunte con i poteri del "privato" datore di lavoro. Sia gli atti di organizzazione "minore" degli uffici, cosiddetta di "micro-organizzazione", sia gli atti con cui avviene la gestione del rapporto di lavoro, sono dunque atti di natura privatistica conoscibili dal Giudice ordinario. Tra questi atti possono annoverarsi per certo gli atti di costituzione del rapporto di lavoro, ma anche gli atti di estinzione del rapporto, ed infine gli atti di regolazione del rapporto di lavoro. La natura di atti di diritto pubblico è stata confermata solo per gli atti di "macro-organizzazione", in quanto protèsi a garantire alla Pa la conservazione di quell'innata prerogativa propria di tutti gli enti pubblici, di disciplinare, in autonomia e con atti unilaterali, l'organizzazione fondamentale della propria struttura al fine di renderla adeguatamente proporzionata agli interessi pubblici da perseguire.

La disapplicazione "incidentale" del Giudice ordinario - Tuttavia, a ben vedere, il giudizio sugli atti di "macro-organizzazione", non è prerogativa esclusiva del
Giudice amministrativo, poiché insiste nell'Ordinamento il potere di disapplicazione "incidenter tantum" del Giudice ordinario in tutti quei casi in cui gli atti esecutivi gravati non siano espressione di un potere autoritativo di natura pubblicistica, al contempo incidendo su posizioni di diritto soggettivo e non di interesse legittimo. Ovviamente fatte salve le ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Quando si discorre di atti di "macro-organizzazione", pertanto, si fa riferimento ad ipotesi tassative ed espressamente individuate dal legislatore, all'interno delle quali non si deve ricondurre una Ordinanza ministeriale che regola le procedure di mobilità.

Le procedure di mobilità - Evidenziata la categoria degli atti di "macro-organizzazione" quale – in buona sostanza - eccezione rispetto alla regola per cui il rapporto di lavoro alle dipendenze della Pa è disciplinato da atti di natura privatistica, l'individuazione in concreto di tali provvedimenti formalmente e sostanzialmente amministrativi deve essere effettuata seguendo un approccio metodologico rigoroso e restrittivo, mediante un esame caso per caso, diretto a verificare la sussistenza dei presupposti normativi. Di talchè è evidente come nella gestione delle procedure di mobilità dei pubblici dipendenti non residui alcun potere autoritativo di natura pubblicistica dell'Amministrazione che, a ben vedere, agisce in qualità di "ordinario" datore di lavoro. Segnatamente, mediante il perfezionamento della procedura di mobilità, si verifica una mera modifica nel rapporto di lavoro preesistente, che consiste nel semplice mutamento del posto nel quale il dipendente è tenuto a porre in essere la propria prestazione lavorativa nei confronti del datore di lavoro pubblico. Questa "variazione", sia essa a domanda o disposta d'ufficio, sia essa permanente o temporanea non può che essere ritenuta aspetto relativo alla regolazione ed alla gestione del rapporto di lavoro già instaurato, laddove la Pa agisce con poteri di natura datoriale cui si fronteggiano – si badi, pariteticamente - i diritti soggettivi dei lavoratori discendenti dalla legge, dalla contrattazione collettiva e dai contratti di lavoro individuali.

Tar Lazio - Sezione III-bis - Sentenza 9 settembre 2020 n. 9439

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