Civile

Il difficile rapporto tra gli indici di crisi e i criteri bancari

di Vincenzo De Sensi

La grande novità del codice della crisi è il sistema di allerta. La sua funzione è agevolare l’emersione e la gestione tempestive della crisi.

Due pilastri ne dovrebbero assicurare l’efficacia. Il primo è quello degli adeguati assetti organizzativi. Si richiede che l’imprenditore adotti assetti organizzativi, amministrativi e contabili anche per la tempestiva rilevazione della crisi e per approntare senza indugio i relativi rimedi per farvi fronte.

Pur non essendo una novità nel nostro sistema societario, gli adeguati assetti assumono una crescente importanza, determinata dall’idea che vanno preservate le condizioni per la continuità aziendale. Senza imbrigliare eccessivamente la propensione al rischio degli amministratori, nondimeno l’organizzazione va assumendo in modo trasversale la funzione di indispensabile presidio per monitorare e gestire i rischi insiti nell’attività.

La ragione di questo pilastro risiede dunque nelle buone prassi gestionali, che vanno tradotte sul piano organizzativo per cogliere in tempo utile quegli indicatori che danno evidenza di un processo di deterioramento dell’attività che potrebbe condurre sino all’insolvenza.

In relazione a questo profilo funzionale si coglie il secondo pilastro dell’allerta che è quello degli indici economici, patrimoniali e finanziari che possono far ragionevolmente ritenere sussistente uno stato di crisi. Come noto il Codice della crisi, nella prospettiva dell’entrata in vigore dell’allerta ad agosto 2020, demanda al Consiglio nazionale dei dottori commercialisti il compito di elaborare gli indici che possono rilevare uno stato di crisi.

Il lavoro svolto dal Consiglio si è tradotto in un importante documento – inviato al Mise per l’approvazione - che, seguendo le indicazioni del Codice della crisi, ha elaborato un sistema gerarchico di indici la cui integrazione può segnalare una crisi in atto.

Questo sistema gerarchico prevede in primo luogo due criteri fondamentali: quello del patrimonio netto e quello definito con l’acronimo Dscr – Debt service coverage ratio. Il sistema gerarchico prevede dunque che, laddove vi sia il superamento del primo valore soglia, sia ipotizzabile uno stato di crisi; mentre quando il relativo valore soglia non sia superato, si può passare alla valutazione del secondo indice il quale segnala i flussi di cassa liberi che possono essere utilizzati per il rimborso dei debiti nei sei mesi successivi.

Quindi in sostanza, in base a questi due indici, è possibile dare rilievo a situazioni critiche già tradotte o in una significativa perdita patrimoniale o in una tensione finanziaria. Soltanto laddove il criterio finanziario dei flussi di copertura della debitoria non sia fondato su dati attendibili, è possibile procedere ad utilizzare altri cinque indici la cui rilevanza è integrata solo quando siano congiuntamente superati e che rispondono alla stessa logica dell’evidenza delle consistenze patrimoniali, della continuità aziendale e del livello di indebitamento dell’impresa.

Il pregevole lavoro di elaborazione degli indici solleva però la questione del raccordo dell’ allerta con il delicato sistema di classificazione bancaria dei crediti deteriorati. L’efficacia dell’allerta dipende infatti in gran parte dalla reattività delle banche al fenomeno della crisi: reattività che oggi deve tenere conto degli orientamenti dell’Eba per classificare un credito come deteriorato.

Il punto delicato è dato dalla circostanza che, secondo questi orientamenti, un credito può essere qualificato come deteriorato a prescindere dalla sussistenza di uno scaduto, laddove la banca reputi che il debitore probabilmente non pagherà (cosiddette inadempienze probabili- Utp unlikely to pay). Sarà quindi sempre più frequente nella pratica che la banca ceda le relative posizioni per ricavarne liquidità o per migliorare i suoi requisiti patrimoniali.

Con l’evidente conseguenza che, da un lato, la reattività delle banche alle situazioni di crisi sarà molto più anticipata rispetto all’allerta e, dall’altro, che laddove la gestione della crisi arrivi innanzi all’Organismo di composizione assistita (Ocri) non vi sia più quale interlocutore la banca ma i fondi o società di gestione che investono in posizioni deteriorate con logiche operative alle volte non prossime alla ripresa della continuità aziendale. A livello operativo si dovrà dunque tenere conto delle delicate implicazioni che questo determina sul rapporto con l’imprenditore in crisi e sui doveri di buona fede e correttezza nella gestione dell’allerta.

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