Civile

L’addio al tenore di vita non basta per rivedere l’assegno

di Patrizia Maciocchi

L’archiviazione del principio sul tenore di vita goduto durante il matrimonio, non fa in automatico scattare il diritto alla revisione dell’assegno di divorzio, se non sono cambiate le condizioni di fatto in base alle quali è stato determinato. La Corte di cassazione, con la sentenza 1119, respinge il ricorso di un ex marito che invocava l’applicazione del nuovo orientamento per sospendere l’assegno alla ex moglie. Dalla sua riteneva di avere più di una buona ragione. La moglie aveva un lavoro e aveva avuto un’eredità, mentre lui era in pensione, si era risposato e accudiva la madre. La corte d’Appello aveva respinto l’istanza, ricordando che le condizioni poste alla base della richiesta di revisione, erano già tutte presenti quando il diritto all’assegno era stato riconosciuto e i giudici ne avevano tenuto conto nel quantificare l’importo. Senza successo il ricorrente aveva chiesto di considerare l’evoluzione della giurisprudenza e il nuovo quadro affermato, prima dalle sezioni semplici e poi dalle Sezioni unite con la sentenza 18287/2018. Ma per la Cassazione il cambio di orientamento, reso in sede di nomofilachia, non è retroattivo come lo è una nuova legge e può essere disatteso dal giudice di merito. La suprema corte sottolinea che «la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della regola iuris non già creativa della stessa», ed ha «un’efficacia non cogente ma solo persuasiva». Presupposto per rivedere l’assegno o per cancellarlo è un cambiamento “sopravvenuto” delle condizioni patrimoniali, che va accertato dal giudice, il quale può poi procedere alla revisione secondo i nuovi principi giurisprudenziali. Non è possibile, come auspicato dalla dottrina, aprire la via al rimedio della riconsiderazione dell’assegno facendo rientrare tra i “giustificati motivi”, che possono far sorgere l’interesse ad agire, «anche la diversa interpretazione avallata dal diritto vivente giurisprudenziale». Una strada non percorribile perché la giurisprudenza, con la sua interpretazione «costituisce una chiave di lettura dei dati di fatto rilevanti per il diritto e non li produce essa stessa, né nel mondo fenomenico, né, come si è visto, quale fonte normativa». I giudici di legittimità sgombrano il campo anche dai dubbi su una disparità di trattamento che si potrebbe venire a creare a seconda che il giudizio di revisione sia basato o meno su fatti sopravvenuti. In assenza di “eventi” nuovi, infatti, il diritto all’assegno si fonda sul giudicato basato sulla situazione valutata come era al momento. Un criterio non diverso di quanto avviene nel caso di successioni di legge nel tempo: la nuova trova il suo limite nel giudizio “chiuso” senza che ci sia un vulnus al principio di uguaglianza.

Corte di cassazione – Sezione – I – Sentenza 20 gennaio 2020 n.1119

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