Civile

Rapporto di lavoro domestico tra parenti, va provato il vincolo di subordinazione

di Andrea Alberto Moramarco

In caso di assistenza personale nei confronti di un parente, la presunzione della gratuità della prestazione è esclusa in difetto del requisito della convivenza. Tuttavia, ciò non determina, a contrario, la presunzione di sussistenza del rapporto di lavoro subordinato. Il vincolo di subordinazione, infatti, deve essere dimostrato con prova precisa e rigorosa. Questo è quanto emerge dalla sentenza n. 2637/2019 del Tribunale di Roma.

I fatti - La controversia trae origine dal ricorso con il quale una donna citava in giudizio gli eredi di sua zia, anziana signora in favore della quale la stessa aveva prestato assistenza per quattro anni sino al momento del decesso, chiedendo il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato e la condanna al pagamento delle differenze retributive. La donna assumeva di aver prestato assistenza e sorveglianza continui nei confronti della parente, svolgendo di fatto le mansioni inquadrabili nel Ccnl lavoratori domestici, ricevendo in cambio la modica somma di 200 euro mensili.
Nel giudizio di primo grado, dopo aver estromesso alcuni convenuti per rinuncia all'eredità, il Tribunale riteneva valide le ragioni della donna e condannava tutti i resistenti in solido al pagamento in suo favore della somma di poco più di 70 mila euro. Gli eredi impugnavano però la decisione dinanzi alla Corte d'appello sottolineando un punto fondamentale della vicenda ignorato dal Tribunale, ovvero il rapporto di parentela tra la anziana signora e la ricorrente. Quest'ultima era infatti nipote della prima e, per di più, vi era sempre stato tra loro un forte legame, in quanto la zia si era presa cura della nipote sin dalla prematura scomparsa della madre di quest'ultima.

La decisione - I giudici di secondo grado spostano così l'attenzione sulla specifica questione del lavoro domestico in ambito familiare e, attraverso un'attenta analisi del quadro probatorio, optano per la posizione sostenuta dagli eredi. Ebbene, il Collegio ricorda come «in tema di lavoro domestico, reso in ambito familiare, che si caratterizza per la particolarità della prestazione di accudienza personale o della casa in favore del parente, la giurisprudenza ha evidenziato che, ove la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative fra persone legate da vincoli di parentela o affinità debba essere esclusa per l'accertato difetto della convivenza degli interessati, non opera "ipso iure" una presunzione di contrario contenuto, indicativa dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato».
Ciò significa che l'assenza del requisito della convivenza non esclude di per sé la gratuità della prestazione svolta, avendo la parte che faccia valere diritti derivanti da tale rapporto comunque l'obbligo di dimostrarne, con prova precisa e rigorosa, tutti gli elementi costitutivi. Nel caso di specie, conclude la Corte, la relazione che univa la ricorrente alla signora deceduta avrebbe richiesto la prova di un vincolo di subordinazione particolarmente rigoroso, che tuttavia non è stata raggiunta.

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