Civile

Crediti sorti nel corso della procedura: un anno per insinuarsi al passivo

di Patrizia Maciocchi

L'insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura non è soggetta al termine di decadenza previsto dalla legge fallimentare. Tuttavia c'è un limite di tempo che va individuato nel termine di un anno, per essere in linea con il sistema di insinuazione attuale e con i principi costituzionali sulla parità di trattamento e sul diritto di azione. Una dead line espressiva del sistema in vigore sulla materia: dodici mesi che devono decorrere dal momento in cui si verificano le condizioni per partecipare al passivo fallimentare. La Corte di cassazione, con la sentenza 3872, detta un principio di diritto, nel decidere una causa nella quale il giudice delegato aveva considerato inammissibile la domanda in assenza della prova della non imputabilità del ritardo con cui l'insinuazione era avvenuta. I giudici della prima sezione civile precisano che l'insinuazione al passivo per i crediti “nati” in pendenza di procedura sfuggono ai termini di decadenza dettati dall'articolo 101 della legge fallimentare commi primo e ultimo. Norma secondo la quale sono considerate tardive le domande di ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobili, trasmesse al curatore, oltre 30 giorni prima dell'udienza dedicata alla verifica del passivo e non oltre i 12 mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo. Termini che possono essere dilatati fino a 18 mesi in caso di particolare complessità della procedura. Ora il limite di tempo individuato dalla Corte di Cassazione è di un anno, con un count down che deve iniziare dal momento in cui ci sono i presupposti per partecipare al passivo fallimentare.

Corte di cassazione – Sezione I – Sentenza 17 febbraio 2020 n.3872

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