Civile

Sanità e pacta sunt servanda

di Carlo Felice Giampaolino


E' certo che la diffusione del Coronavirus sta avendo una forte incidenza sulla capacità delle imprese di assicurare lo svolgimento regolare della propria attività (eseguire forniture, erogare servizi). Ciò non è necessariamente un effetto diretto della diffusione pandemica del virus, ma delle restrizioni alle attività commerciali e alla circolazione delle persone disposte con le misure susseguitesi. Tra queste, particolare impatto ha il dpcm del 22 marzo scorso, che ha disposto la sospensione di tutte le attività produttive industriali e commerciali, tranne quelle esentate perché assicurano servizi ritenuti essenziali per i cittadini (es. coltivazioni agricole, industrie alimentari ma anche ingegneria civile).

Vi sono quindi imprese costrette che interrompono la propria attività. Ma anche altre che, pur potendo continuare, si trovano nell'incapacità di assicurare il flusso produttivo o la regolare erogazione del servizio, vuoi anche solo per la necessità di adeguare le catene di produzione alle regole di sicurezza sanitaria, o per il personale ridotto. Anche chi rimane aperto potrà dunque subire un calo dei fatturati. In entrambi i casi, la situazione di emergenza si ripercuote sui rapporti commerciali, determinando un'emergenza anche legale, cioè di gestione del rapporto contrattuale, per evitare responsabilità.

A fronte di provvedimenti straordinari, l'impresa dispone di strumenti legali previsti nel codice civile o anche in clausole contrattuali, ma questi generalmente non affrontano l'evento pandemia. Un esempio di intervento ad hoc sul piano dei contratti, ma che non fornisce alle imprese un rimedio specifico, è l'art. 91 del decreto “Cura Italia” il quale (intervenendo sul precedente decreto del 23 febbraio scorso) chiarisce che va sempre valutata la necessità di rispettare le misure di contenimento per escludere la responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.

Va subito detto che la situazione eccezionale non consente di considerarsi per sempre non vincolati agli obblighi contrattuali assunti, per quanto gravosi. Essa piuttosto aggiunge agli obblighi assunti il dovere di cooperare affinchè il sacrificio dell'interesse altrui sia il minore possibile. Se la prestazione non è possibile, la prestazione è, si dice, inesigibile, almeno temporaneamente. Tuttavia, la sicurezza dei traffici è sempre passata per la cooperazione tra imprese e la lealtà reciproca, prevalendo su forme e articoli del codice. E confermare le certezze (o almeno rendere prevedibili gli scostamenti tra promesse e fatti) alloca i rischi e consente di raccogliere e investire risorse e non interrompere oltre il necessario il ciclo economico.

L'art. 91 – è bene notare - non esclude tout court la responsabilità, ma impone in ogni caso che della situazione straordinaria determinata dai decreti emergenziali si tenga conto.
E una valutazione caso per caso sarà sempre necessaria per l'impresa che non intende incorrere in responsabilità, quando la riduzione del flusso produttivo o addirittura la sua interruzione (o l'interruzione dell'attività del proprio partner industriale, o ancora dello spedizioniere sul quale si era fatto affidamento per il trasporto merce) renda attuale il rischio di non rispettare l'obbligo contrattuale (es. effettuare una fornitura entro la data convenuta, o nello scenario migliore effettuarla in quantitativi ridotti). Andranno innanzitutto individuate eventuali clausole del contratto che affrontino la situazione specifica (es. clausole di forza maggiore, clausole che menzionino espressamente l'evento pandemia e ne disciplinino le conseguenze). Il principio, anche laddove clausole ad hoc vi siano, rimane però quello fissato nell'art. 1218 del codice civile per cui le obbligazioni contrattuali devono essere rispettate pena la responsabilità dei danni derivanti al creditore, purché l'adempimento puntuale non sia reso impossibile da una causa estranea alla sfera di controllo del debitore.

Il principio è di fondamentale importanza per la tenuta dei rapporti commerciali, e per questo è il debitore a dover provare che l'impossibilità è dovuta a fattori esterni specificamente rilevanti per l'obbligazione.

L'art. 1256 del codice civile viene in aiuto del debitore, e coerentemente con l'art. 1218 prevede che il debitore sia liberato dall'obbligazione, quando questa sia divenuta impossibile, ma sempre per causa non imputabile. Particolarmente attuale la seconda parte dell'art. 1256, secondo cui il debitore non risponde del ritardo (nel nostro esempio, il fornitore che consegna la merce una settimana dopo la data convenuta) quando il ritardo è stato dovuto ad una impossibilità temporanea. L'intervento ad hoc del Governo di cui all'art. 91 si inserisce in questo quadro, e specifica che si tiene conto della necessità di adeguarsi alle misure governative anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.

Certamente è obbligo dell'impresa agire in buona fede, e quindi applicare con estremo rigore tale disposizione, che non può tradursi in un'esenzione generale dal principio pacta sunt servanda. Laddove l'impresa preveda di ritardare o non poter effettuare la prestazione richiesta, sarà importante in questo senso mantenere aperti i canali di comunicazione per informare dell'impossibilità di onorare l'obbligo contrattuale nei termini concordati e soprattutto offrire la massima collaborazione per convenire nuovi termini.
Tali comunicazioni si inquadrano nel generale dovere di eseguire il contratto secondo buona fede e correttezza e in alcuni casi la violazione di tale dovere potrebbe dare luogo a responsabilità contrattuale o precontrattuale, se vi erano affidamento ragionevole e investimenti. La valutazione, come detto, deve essere condotta con rigore caso per caso, e distinguendo le posizioni.

Nella prospettiva del soggetto che deve ricevere la merce, ad esempio, è difficile sostenere che il pagamento del prezzo sia impossibile per la situazione straordinaria, anche se, a fronte di flussi finanziari improvvisamente ridotti, potrebbe rispondere ad una ragionevole gestione dell'impresa concentrare i flussi in uscita su alcune forniture, piuttosto che su altre.
Anche in tal caso, non si potrà prescindere dalla tempestiva comunicazione alla controparte delle circostanze. Naturalmente, in alcuni casi sarà l'esistenza stessa del contratto ad essere messa in questione, quando l'attuale situazione renda la prestazione di una delle parti eccessivamente onerosa, cioè non più adeguatamente remunerata dalla prestazione dell'altra parte. In tal caso, potrà essere possibile, valutati i presupposti, chiedere la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1467 del codice civile. Infine, sarà importante valutare nei contratti con controparti estere l'applicabilità di convenzioni internazionali, come la Convenzione di Vienna del 1988 sui contratti di vendita internazionale di merce, che prevede rimedi quali sospensione, rinegoziazione o risoluzione del contratto.

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