Civile

Interdittive antimafia, legittima l’estensione alle imprese private

di Patrizia Maciocchi

L’interdittiva antimafia adottata dal prefetto per le imprese private a rischio di infiltrazione mafiosa non viola il principio della libera iniziativa economica. La scelta di affidare all’autorità amministrativa la misura, di particolare gravità, -che impedisce all’imprenditore di fare contratti con la Pa - è giustificata dalla dimensioni preoccupanti del fenomeno mafioso e dalla sua pericolosità.

Per la Corte costituzionale(sentenza 57, redattore Coraggio) non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 89-bis e 92, commi 3 e 4 del Codice antimafia (Dlgs 159/2011) sollevate dal Tribunale di Palermo. Secondo il giudice remittente, l’estensione degli effetti dell’informazione interdittiva antimafia ad un’attività semplicemente privatistica, priverebbe l’imprenditore del diritto, garantito dall’articolo 41 della Carta, di esercitare l’attività economica, mettendolo nella stessa condizione del destinatario di una misura di prevenzione personale, applicata con un provvedimento definitivo.

L’irragionevolezza starebbe nel ricollegare a un atto amministrativo gli effetti di una misura di prevenzione imposta con un provvedimento giurisdizionale. L’interdittiva è, infatti, immediata, in più l’autorità amministrativa, a differenza del Tribunale, non può intervenire sulle esclusioni e sui divieti, nel caso in cui all’interessato e alla sua famiglia venissero a mancare i mezzi di sostentamento.

A supporto della sua decisione la Consulta cita le conclusioni (7 febbraio 2018) a cui è giunta la Commissione parlamentare di inchiesta sulle mafie. Uno studio dal quale emerge la vulnerabilità anche dei mercati privati e, in particolare delle piccole e medie imprese, a basso sviluppo tecnologico, che si connotano per il lavoro non qualificato e poco sindacalizzate. Contesti, in cui pratiche non conformi alla legalità formale sono una prassi diffusa e dove la mafia ha margine per offrire i suoi “servizi”.

Un quadro preoccupante evidenziato in molte sentenze anche dai giudici amministrativi che hanno valorizzato la forza intimidatoria dei clan e le ingenti risorse usate per alterare il libero e naturale sviluppo dell’attività economica nei settori infiltrati «con grave vulnus non solo per la concorrenza, ma per la stessa libertà e dignità umana». Alla luce di questi dati va valutata la scelta.

Alle autorità amministrative non si chiede di colpire le pratiche e i comportamenti lesivi degli interessi ricordati dalla Consulta, ruolo che spetta all’autorità giudiziaria. La funzione dell’interdittiva è di anticipare il rischio con un monitoraggio costante. L’informativa è fondata su elementi , raccolti dal prefetto, più sfumati di quelli necessari in sede giudiziaria, ma sempre sottoposti al vaglio del giudice amministrativo che ne verifica la consistenza e la coerenza assicurando al privato la tutela necessaria.

La misura per la Corte è proporzionata e ragionevole rispetto ai valori in gioco, la cui tutela impone di colpire in anticipo la mafia. Di particolare rilievo, per la valutazione, è il suo carattere provvisorio limitato a 12 mesi, scaduti i quali è necessario verificare la persistenza o meno delle circostanze che hanno portato all’interdittiva. Se la conclusione è positiva, l’effetto sarà la reiscrizione nell’albo delle imprese artigiane, come nel caso esaminato dal tribunale remittente, e in generale nel recupero dell’impresa al mercato.

La Corte sottolinea la necessità di un’applicazione sostanziale della norma per evitare che la persistenza di una misura non più giustificata crei un danno irreversibile. Non pregiudica la costituzionalità l’efficacia immediata, tipica dei provvedimenti amministrativi, che trova un rimedio nella immediata sospensione della fase cautelare in sede giurisdizionale. Per quanto riguarda l’impossibilità di intervenire in sede amministrativa sulle esclusioni e sui divieti, che possono incidere sui mezzi di sussistenza dell’imprenditore, questa è compensata in parte dalla temporaneità dell’informazione antimafia. Il punto merita però, precisa la Corte, una rimeditazione del legislatore. Tema che non può essere oggetto di una pronuncia specifica, perché non autonomo e privo di incidenza determinante.

Corte costituzionale - Sentenza 57/2020

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