Civile

Autovelox: non basta il certificato di messa in opera, serve la verifica della taratura

Giampaolo Piagnerelli

Il giudice può contestare l'infrazione tramite autovelox non rifacendosi alla certificazione dell'apparecchio, ma deve concretamente sincerarsi se la macchinetta sia stata sottoposta a taratura. Lo precisa la Cassazione con l'ordinanza n. 10464/2020.

I fatti. La vicenda ha visto protagonista la polizia municipale che si era avvalsa dello strumento elettronico Velomatic 512 per elevare la sanzione, apparecchio che consente di accertare l'infrazione commessa solo a transito avvenuto del veicolo trasgressore. Secondo i giudici del merito per il Comune non sussisteva nessuna previsione che imponesse di indicare nel verbale di accertamento i risultati della taratura dell'apparecchio e i risultati della taratura della macchinetta utilizzata per il rilevamento della velocità. La funzionalità dell'apparecchiatura poteva dirsi provata alla luce del certificato provata alla luce del certificato di messa in opera e controllo. Contro questa deduzioni ha proposto appello il conducente. La sentenza impugnata ha ritenuto irrilevante la taratura rispetto alla correttezza del rilevamento, facendo erroneamente riferimento alla sufficienza, ai fini della funzionalità del certificato di messa in opera e di controllo.

Conclusioni. In definitiva - precisano i Supremi giudici - quando viene contestata l'affidabilità dell'apparecchio di misurazione della velocità il giudice è tenuto ad accertare se l'apparecchiatura sia stato o meno sottoposta a verifiche di funzionalità e taratura. Altrimenti, come nel caso di specie, punto a favore del conducente.

Corte di cassazione - Sezione II civile - Ordinanza 3 giugno 2020 n. 10464

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