Civile

Trasferimento dell'impresa per crisi, l'accordo sindacale non blocca il passaggio del dipendente al cessionario

Francesco Machina Grifeo

Giro di vite della Cassazione sui licenziamenti collettivi a seguito di trasferimento dell'impresa per crisi. In caso di aziende per le quali sia stato accertato lo stato di crisi, o per le quali sia stata disposta l'amministrazione straordinaria con continuazione dell'attività, l'accordo sindacale non può prevedere dei licenziamenti collettivi. Ma, fermo restando il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario, può unicamente contenere delle deroghe all'articolo 2112 del codice civile che regola il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda. Lo ha stabilito la Cassazione, sentenza n. 10415/2020, affermando un principio di diritto e fornendo una interpretazione, scrive la Corte, in linea col "Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza" che entrerà in vigore il 10 settembre 2021.

La vicenda
- Respinto dunque il ricorso di "Alitalia - Società aerea italiana in amministrazione straordinaria" e di "Cai - Compagnia Aerea italiana" contro la reintegra di un dipendente disposta nel 2018 dalla Corte di appello di Roma. La Corte territoriale aveva infatti ritenuto illegittimo il licenziamento intimato nel 2014, all'esito di una procedura collettiva, da Cai ed ha ordinato ad Alitalia (Sai), in qualità di cessionaria del compendio aziendale, di reintegrarlo, condannando entrambe le società in solido al pagamento di un risarcimento.

I paletti Ue
- Come chiarito dalla Corte Ue, per la direttiva 2001/23, lo stato di crisi aziendale non costituisce in sé motivo economico per riduzione dell'occupazione, né costituisce in sé ragione di deroga al principio generale secondo cui il trasferimento di un'impresa o di parte di essa non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario, dovendo i licenziamenti essere giustificati da motivi economici, tecnici o d'organizzazione. La Cgue ha infatti nettamente distinto la situazione dell'impresa di cui sia stato accertato lo stato di crisi, «il cui procedimento mira a favorire la prosecuzione dell'attività dell'impresa in prospettiva di una futura ripresa», rispetto alla situazione di imprese nei cui confronti siano in atto procedure concorsuali liquidative, «rispetto alle quali la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata».

Per la prima categoria di imprese - alveo in cui è riconducibile la vicenda Alitalia-Cai – dunque la Direttiva Ue autorizza gli Stati membri unicamente a prevedere modifiche delle «condizioni di lavoro … senza tuttavia privare i lavoratori dei loro diritti garantiti». Ciò significa, precisa la Sezione lavoro, che l'accordo con le organizzazioni sindacali raggiunto ai sensi del comma 4-bis dell'art. 47 legge n. 428 del 1990, a differenza di quello raggiunto ai sensi del comma 5 dello stesso articolo, non consente di incidere sulla continuità del rapporto di lavoro, in quanto la deroga all'articolo 2112 c.c. cui il comma 4-bis si riferisce può riguardare esclusivamente le "condizioni di lavoro", nel contesto di un rapporto di lavoro comunque trasferito.

La motivazione
- «Trova cosi conferma - scrive la Corte - che il legislatore ha inteso limitare ai soli casi di procedure concorsuali liquidative nel corso della quali non sia stata disposta o sia cessata l'attività la deroga al generale principio della continuità dei rapporti di lavoro di tutti i dipendenti addetti all'azienda trasferita, consentendo ai sindacati di concordare il numero dei lavoratori il cui rapporto prosegua con l'acquirente». «Ritenere invece che anche il comma 4-bis consenta tale eventualità, da parte dell'accordo sindacale, di derogare al principio di continuità, costituirebbe una indebita estensione interpretativa di una previsione testualmente riferite alle ipotesi disciplinate dal comma 5».
In definitiva, prosegue la decisione, «il comma 4-bis ammette solo modifiche, eventualmente anche in peius, all'assetto economico-normativo in precedenza acquisito dai singoli lavoratori, ma non autorizza una lettura che consenta anche la deroga al passaggio automatico dei lavoratori all'impresa cessionaria».
Infine, il Collegio, rileva che anche il Dlgs 12 gennaio 2019 n. 14 (Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza) che ha sostituito i commi 4-bis e 5 dell'articolo 47, espungendo l'equivoco inciso sul «mantenimento anche parziale dell'occupazione», ha esplicitamente recepito «l'unica lettura del comma 4- bis che questa Corte ritiene già percorribile in via ermeneutica anche per il passato, quale unica interpretazione conforme al diritto dell'Unione».

Il principio - «In caso di trasferimento che riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi dell'articolo 2, quinto comma, lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675, ovvero per le quali sia stata disposta l'amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell'attività, ai sensi dei decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, l'accordo sindacale di cui all'art. 47 della l. 29 dicembre 1990, n. 428, comma 4-bis, inserito dal Dl n. 135 del 2009, conv. in L. n. 166 de/ 2009, può prevedere deroghe all'art. 2112 c.c. concernenti le condizioni di lavoro, fermo restando il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario ».

Corte di cassazione –Sentenza 3 giugno 2020 n. 10415

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