Civile

La perenzione comporta la caducazione della misura cautelare

Francesco Machina Grifeo

L'estinzione del giudizio per perenzione comporta la caducazione automatica di tutti gli effetti riconducibili alla misura cautelare eventualmente accordata. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 13629 depositata ieri, respingendo il ricorso proposto da una psicologa nei confronti della Asl di Lecce. La professionista rivendicava il proprio diritto a mantenere lo status giuridico di medico psichiatra, e dunque i relativi emolumenti, come disposto dall'ordinanza cautelare del Tar Puglia del 1993 (e ciò quantomeno per tutta la durata in cui l'ordinanza aveva operato e cioè da 1° aprile del ‘91 al 19 ottobre 2004, data di perenzione del giudizio intrapreso al Tar).

La Corte di appello di Lecce, nel 2014, aveva già rigettato la domanda ritenendo che il decreto di perenzione del Tar avesse travolto l'ordinanza del tribunale amministrativo. Contro questa decisione ha fatto ricorso la psicologa ma la Sezione lavoro ha confermato il giudizio di secondo grado.

La Suprema corte ricorda che, secondo la giurisprudenza di legittimità, «il provvedimento cautelare emesso dal giudice amministrativo per assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso non assume (al pari di quello emesso dal giudice ordinario - salvo i casi espressamente previsti) carattere decisorio e non incide in via definitiva sulle posizioni soggettive dedotte in giudizio, essendo destinato a perdere efficacia per effetto della sentenza definitiva di merito». E nel medesimo senso si è espresso anche il Consiglio di Stato.

Il provvedimento cautelare, dunque, è sempre emanato "con riserva" di accertamento della fondatezza nel merito. Da ciò discende, prosegue la decisione, che anche i provvedimenti cautelari che hanno un contenuto positivo devono limitarsi a introdurre una disciplina che anticipi in via meramente interinale la produzione degli effetti del provvedimento negato o non adottato dall'amministrazione, essendo la misura cautelare destinata comunque ad estinguersi laddove non sia seguita da una decisione di merito, non potendo aspirare ad acquisire stabilità neppure ove la volontà delle parti sia concorde in tal senso. Gli effetti di carattere sostanziale conseguono, dunque, solo al passaggio in giudicato della pronuncia di merito favorevole, che è la sola idonea ad assicurare al provvedimento adottato in via cautelare effetti permanenti.

Pertanto, conclude la Cassazione, se il provvedimento cautelare è, per sua natura, un provvedimento interinale che subisce le sorti del giudizio nel cui ambito è emanato, è evidente che la sua efficacia viene meno: 1) a seguito di una pronuncia di rigetto del ricorso; 2) nel caso di successiva ordinanza di revoca del provvedimento cautelare 'res melius perpensa'; 3) per la sopravvenienza di situazioni incompatibili con il mantenimento degli effetti del provvedimento cautelare; 4) in conseguenza di qualunque vicenda processuale che abbia effetti estintivi sul processo cautelare. Oppure, come verificatosi nella specie, sull'intero giudizio, «vista la stretta strumentalità, non solo funzionale, ma anche strutturale che nell'ambito del processo amministrativo emerge tra la tutela cautelare e la decisione di merito, garantendo la prima provvisoriamente gli effetti della seconda pur senza escludere, ovviamente, la possibilità di un giudizio dall'esito diametralmente opposto a quello che la misura cautelare assicura in via interinale».

Corte di cassazione - Sentenza 2 luglio 2020 n. 13629

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