Civile

Salini Costruttori (Webuild) vince ricorso su denominazione sociale

Francesco Machina Grifeo

La Cassazione, sentenza n. 13921 depositata ieri, conferma la decisione con cui nel marzo 2015 la Corte d'appello di Roma, Sezione specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale, aveva accolto (parzialmente) l'appello di Salini Costruttori, accertando che l'utilizzo da parte della "Salini Locatelli" e della "Salini G.S." del patronimico «Salini» nella loro denominazione sociale costituiva atto di concorrenza sleale (ex articolo 2598, n. 1, c.c.) e violazione del diritto all'uso esclusivo della denominazione sociale.

Nel frattempo il principale gruppo italiano di costruzioni (6mld di fatturato), dopo aver rilevato Impregilo e ‘salvato' Astaldi ha cambiato definitivamente pelle chiamandosi dal maggio scorso Webuild. Ma siccome la ‘storia' pesa, una parte della famiglia, determinatasi nel 2005, dopo la designazione di Pietro Salini (nipote ed ominomo del fondatore) come "capo azienda", ad avviare una nuova ed autonoma attività imprenditoriale non aveva voluto rinunciare al nome.

Dopo la vittoria in primo grado, però il giudice d'appello aveva ribaltato il verdetto affermando che «l'uso del patronimico ‘Salini' nelle ragioni sociali aveva creato confusione, poiché era in grado di far ritenere ad operatori anche avveduti» che le società «appartenessero al medesimo gruppo imprenditoriale (ancorché in forma di semplice partecipazione al capitale o di collaborazione contrattuale». Mentre l'inserimento dell'ulteriore patronimico ‘Locatelli' «non appariva idoneo a fugare il rischio di confusione», come le parole "Global Service", che, per la loro genericità erano parimenti inidonee a differenziare le due società.

Il relativo utilizzo dunque «costituiva atto di concorrenza sleale confusoria» inducendo a ritenere operante un collegamente in realtà inesistente. Una lettura confermata dalla Suprema corte. Sussistevano infatti tutti i presupposti confusori previsti dalla legge e cioè: «l'effettivo rapporto concorrenziale sul mercato fra le due imprese, l'omogeneità delle attività, il concreto pericolo di confusione del pubblico fra le rispettive attività degli imprenditori concorrenti».

E, conclude la Prima Sezione civile, «ove due società di capitali abbiano la medesima denominazione, il conflitto tra i segni va risolto attribuendo prevalenza all'iscrizione nel registro delle imprese, o nel registro delle società per il periodo che precede l'entrata in vigore della legge n. 580 del 1993, che è intervenuta per prima, senza che assuma rilievo né il mero pregresso utilizzo della stessa denominazione da parte di altra società, che ha cessato da tempo di operare e che faceva capo a familiari del socio di una della società registrata per seconda, né il fatto che la denominazione di quest'ultima coincida col cognome di uno di tali soci (21403/2019)».

E secondo una decisione ancora più risalente, «qualora due società di capitali inseriscano, nella propria denominazione, lo stesso cognome, il quale assuma per entrambe efficacia identificante, e si verifichi la possibilità di confusione, in relazione all'oggetto ed al luogo delle rispettive attività, l'obbligo di apportare integrazioni o modificazioni idonee a differenziare detta denominazione, posto dall'art. 2564 cod.civ. a carico della società che per seconda abbia usato quella uguale o simile, non trova deroga nemmeno nella circostanza che detto inserimento sia legittimo e riguardi il cognome di imprenditore individuale la cui impresa sia stata conferita nella società, poiché anche in tale ipotesi la denominazione della società può essere liberamente formata (6678/1987)».

Corte di cassazione - Sentenza 6 luglio 2020 n. 13921

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