Civile

Concordato preventivo: la verifica dell’avvocato non è solo formale

di Giovanbattista Tona

È compito dell’avvocato verificare le condizioni di ammissibilità e di fattibilità giuridica di una proposta di concordato preventivo. Ma ben sapendo che non dovrà fermarsi ai requisiti formali. E non gli spetta alcun compenso se presenta una domanda non conforme al modello giuridico fissato dalla legge e che quindi va incontro a sicuro rigetto da parte del giudice.

Ricorre in questo caso un’ipotesi di inadempimento al mandato ricevuto, imputabile all’avvocato perché non ha esercitato la diligenza professionale alla quale è tenuto, e conseguentemente si estingue il diritto di credito inerente l’onorario.

Lo ha stabilito il Tribunale di Monza con il decreto del 10 marzo 2020, respingendo l’opposizione allo stato passivo proposta da un avvocato che voleva insinuarsi in una procedura fallimentare rivendicando un credito nei confronti della società fallita, da lui assistita nella precedente fase di richiesta della procedura di concordato preventivo.

Le competenze

Il giudice delegato non aveva ammesso la pretesa del professionista perché il concordato proposto aveva fin dall’inizio presentato rilevanti criticità sia sotto il profilo della fattibilità giuridica sia sotto quello della fattibilità economica, anche al di là di ogni ragionevolezza e del buon senso: un capannone (cespite principale della società) era stato stimato per un valore al metro quadrato quasi doppio rispetto a quello di mercato, vi era stata una manifestazione di interesse all’acquisto per una cifra inferiore ma non era seguita alcuna formalizzazione di essa, e comunque dalla eventuale concreta attuazione del piano la percentuale di soddisfacimento dei creditori chirografari sarebbe risultata esigua perchè ben al di sotto della soglia del 20%, imposta dall’articolo 160 comma 4 legge fallimentare come requisito di ammissibilità.

Il legale tuttavia sosteneva che non rientrava nelle sue competenze professionali quella di smentire o confermare con ricerche e valutazioni proprie le risultanze della perizia di stima dell’immobile già affidata ad esperti di settore.

Questo argomento non ha convinto il Tribunale di Monza, che, sulla base dei recenti orientamenti dei giudici di legittimità in materia di responsabilità dell’avvocato (Cassazione, sentenza 19520/2019, Tribunale di Bolzanzo, 14 luglio 2017), ha sostenuto che essa vada parametrata al dovere di diligenza professionale di cui all’articolo 1176 comma 2 del Codice civile.

La perizia

Elemento qualificante della prestazione professionale è la perizia, che la Cassazione (sentenza 10752/2018) ha ravvisato «nella conoscenza e attuazione delle regole e dei mezzi tecnici propri di una determinata arte o professione, da cui la collettività si attende e può esigere una nozione di attività professionale diretta espressione di un catalogo di regole attinenti in modo specifico una determinata professione e, conseguentemente, concorrenti ad integrare la “diligenza media” attinente alla singola vicenda».

Quindi chi accetta un incarico particolarmente complesso deve assicurare un più elevato livello di tecnicismo nell’esecuzione.

Tra gli obblighi di diligenza dell’avvocato rientrano, secondo la Cassazione (sentenza 22386/2019), anche «doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole».

Il controllo

Secondo i giudici monzesi, l’avvocato aveva svolto un’attività inidonea al raggiungimento del risultato e al perseguimento dell’interesse del cliente, perché, senza svolgere un adeguato controllo sulle perizie di stima palesemente prive di motivazioni tecniche e già smentite da altre risultanze in atti circa i valori di mercato, aveva disatteso i suoi doveri di controllo e di coordinamento degli altri professionisti, aveva omesso di dissuadere la società dal perorare un piano palesemente privo di fattibilità giuridica e aveva dilatato i tempi della procedura con aggravio di costi e pregiudizio anche per i creditori.

Le indicazioni dei giudici

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