Civile

Reddito dell’ex e ruolo nel matrimonio i criteri cardine per l’assegno di divorzio

di Giorgio Vaccaro

Ha da poco compiuto i due anni la sentenza 18287 dell’11 luglio 2018, con cui le Sezioni unite della Cassazione hanno sostanzialmente riformato l’interpretazione dei criteri per il riconoscimento dell’assegno divorzile e nella giurisprudenza della Suprema corte appare definitivamente cancellato il criterio guida del tenore di vita goduto in costanza del matrimonio.

Tanto che le pronunce recenti della Cassazione continuano a correggere le sentenze delle corti territoriali che, da un lato, non mettono in luce, nel decidere il caso concreto, tutti gli elementi richiesti come presupposto della fondatezza della domanda di assegno, vale a dire il puntuale accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive; e che, dall’altro, nell’analizzare questi elementi per decidere se attribuire o no l’assegno e per quantificarlo, omettono la valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dall’ex che chiede l’assegno alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e di quello personale di ciascuno degli ex, in relazione alla durata del matrimonio e all’età del richiedente.

La funzione dell’assegno
Del resto, come ha ricordato la Cassazione con l’ordinanza 15774 del 23 luglio 2020, «la natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce quindi al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate». Ancora, specifica la stessa ordinanza, la funzione equilibratrice del reddito tra gli ex coniugi che ha l’assegno divorzile non è finalizzata alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio di famiglia e di quello personale.

Sul punto della tutela della parte più debole, vale citare la sentenza 6519 del 9 marzo 2020, che ha specificato come «nel procedere alla determinazione della richiesta, occorre comunque evitare di incidere in maniera punitiva, con riguardo a quei casi in cui il coniuge economicamente più debole sia rimasto sposato per lungo tempo, dedicando tempo alla famiglia e al partner, incrementando le risorse economico-familiari sia col proprio lavoro fuori di casa o anche con il lavoro di casalinga».

Un faro sulla formazione dei patrimoni
Pertanto, l’indirizzo, ormai pacifico e costante, della Suprema corte è quello di riconoscere all’assegno divorzile una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa, in base all’articolo 5, comma 6, della legge 898/1970; di qui deriva l’onere per il giudice di approfondire la modalità di formazione del patrimonio dei coniugi. Ad esempio, se il patrimonio dell’ex che chiede l’assegno si è formato durante il matrimonio con l’apporto dell’altro, è possibile arrivare a negare l’assegno perché l’ex a cui è richiesto l’assegno ha già fornito il suo contributo.

Anche l’assegnazione della casa coniugale, anche se dovuta alla presenza di figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti, si traduce in ogni caso in un risparmio di spesa che incide sulla situazione economica del coniuge assegnatario e costituisce, pertanto, un elemento che deve essere ponderato come componente positivo nella determinazione della misura dell’assegno, con una conseguente percentuale riduzione della sua parte economica.

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