Civile

Bonus bebè e assegno maternità agli extracomunitari: la Consulta interroga la Corte Ue

di Patrizia Maciocchi

Sarà la corte di giustizia di Lussemburgo a chiarire se la norma italiana che subordina al possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo la possibilità di riconoscere agli stranieri l'assegno di natalità e maternità è in linea con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. La Corte costituzionale ha depositato le motivazioni con le quali ha deciso per il rinvio pregiudiziale, come anticipato l'8 luglio scorso, delle questioni alla Corte Ue. Una scelta coerente con il principio di leale collaborazione tra le corti e giustificata dalla necessità di interpretare il divieto di discriminazioni arbitrarie e la tutela della maternità e dell'infanzia, tutelati dalla Costituzione, alla luce delle indicazioni vincolanti del diritto dell'Unione. A sollevare i dubbi di costituzionalità rispetto alle previsioni contenute nella legge di stabilità 2015 e nel testo unico sul sostegno alla maternità e alla paternità era stata la Corte di cassazione. Ma la Consulta prima di esprimersi interroga gli eurogiudici per avere l'esatta interpretazione delle disposizioni rilevanti del diritto dell'Unione europea che incidono sul diritto nazionale. Il giudice delle leggi chiarisce che occorre chiedere alla Corte di giustizia se l'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali «debba essere interpretato nel senso che nel suo ambito di applicazione rientrino l'assegno di natalità e l'assegno di maternità...». E se dunque il diritto dell'Unione non consenta ad una normativa nazionale di escludere gli stranieri, titolari di permesso unico, dai benefici in esame, già concessi agli stranieri che hanno un permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo. Per quanto riguarda l'assegno di natalità, il cosiddetto bonus bebè, non riconducibile all'assegno speciale di nascita o di adozione menzionati dall'allegato 1 al Regolamento (Ce) 883/2004, la Consulta ipotizza la possibilità di qualificarlo come prestazione familiare secondo lo stesso Regolamento, rendendo così possibile applicare il principio di parità di trattamento. Per la Consulta, infatti, oltre alla funzione premiale della norma, che espressamente prevede il fine di «incentivare la natalità», si può valorizzare l'ulteriore obiettivo di sostenere i nuclei familiari in condizioni economiche precarie, come si può desumere dalla formulazione originaria della norma che indicava il reddito come presupposto per l'assegno. La finalità di dare un sostegno alle famiglie più disagiate e di assicurare ai minori le cure essenziali è confermata anche dalle recenti modifiche normative che , pur considerando l'assegno come provvidenza universale, ne modulano l'importo in base alle diverse soglie di reddito e dunque al grado di bisogno. Per questo il carattere premiale non sembra esclusivo. Per quanto riguarda l'assegno di maternità si chiede agli eurogiudici se questo vada incluso nella garanzia dell'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali «letto alla luce del diritto secondario che mira ad assicurare uno stesso insieme comune di diritti basato, sulla parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro, a tutti i cittadini di paesi terzi che soggiornano e lavorano regolarmente negli Stati membri, vincolando questi ultimi all'indicato obiettivo». La Consulta chiede a Lussemburgo di decidere con procedimento accelerato. Avvertendo la Corte Ue della possibilità di ricevere sulle stesse questioni, ampiamente dibattute dalla giurisprudenza, numerosi altri rinvii pregiudiziali da parte di giudici comuni.

Corte costituzionale – Ordinanza 182 – 30 luglio 2020

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