Civile

Demansionamento anche all'interno della stessa qualifica contrattuale

Francesco Machina Grifeo

È illegittimo spostare un lavoratore da mansioni di concetto a compiti manuali anche se la variazione avviene all'interno della medesima qualifica contrattuale. E il datore di lavoro non può neppure invocare una acquiescenza ai nuovi compiti basata soltanto sul decorso di un lasso di tempo. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 16594/2020, respingendo il ricorso di Poste e confermando la decisione della Corte di appello di Roma che aveva accertato la dequalificazione professionale di una dipendente a seguito di illegittimo esercizio dello jus variandi.

La lavoratrice inquadrata nell'Area Funzionale Operativa livello C del Ccnl di settore che postulava il possesso di "conoscenze specifiche qualificate" e comportava lo svolgimento di "attività amministrative e di coordinamento", era stata, invece, assegnata per un periodo di circa tre anni "a posizione comportante l'esercizio di mansioni manuali, di mero riordino e sistemazione di materiale secondo procedure standardizzate", così violando le prescrizioni dell'articolo 2103 del c.c.

Secondo Poste la dipendente avrebbe manifestato acquiescenza al nuovo incarico essendo ormai trascorso un anno e mezzo dall'assegnazione. Per la Sezione Lavoro tuttavia "l'acquiescenza tacita nei confronti di un provvedimento, nel diritto amministrativo come in quello processuale civile, è configurabile solo in presenza di un comportamento che appaia inequivocabilmente incompatibile con la volontà d'impugnare il provvedimento medesimo". "Non può, quindi, bastare, a tal fine, un atteggiamento di mera tolleranza contingente e neppure il compimento di atti resi necessari od opportuni, nell'immediato, dall'esistenza del suddetto provvedimento, in una logica soggettiva di riduzione del pregiudizio, ma che non per questo escludono l'eventuale coesistente intenzione dell'interessato di agire poi per l'eliminazione degli effetti dei provvedimento stesso".

Poste ha poi dedotto che a seguito della privatizzazione vi era stata una rimodulazione contrattuale delle aree e che alla lavoratrice erano stata assegnate mansioni equivalenti. Per i giudici però "il divieto di variazioni in pejus (demansionamento) opera anche quando al lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori, sicché nell'indagine circa tale equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto al livello di categoria, ma è necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente in modo tale da salvaguardarne il livello professionale acquisito e garantire lo svolgimento e accrescimento delle sue capacità professionali"

Si è quindi precisato che "il nuovo contratto collettivo può anche prevedere il reinquadramento in una nuova unica qualifica di lavoratori in precedenza inquadrati in qualifiche distinte, con la conseguente parificazione limitatamente a quella disciplina contrattuale (normativa ed economica) riferita alla nuova qualifica. Ma ciò non implica necessariamente anche che insorga un rapporto di equivalenza tra tutte le mansioni rientranti nella qualifica".

La garanzia prevista dall'art. 2103 cod. civ., prosegue la decisione, "opera infatti anche tra mansioni appartenenti alla medesima qualifica prevista dalla contrattazione collettiva, precludendo l'indiscriminata fungibilità di mansioni per solo fatto dell'accorpamento convenzionale; conseguentemente, il lavoratore addetto a determinate mansioni non può essere assegnato a mansioni nuove e diverse che compromettano la professionalità raggiunta, ancorchè rientranti nella medesima qualifica contrattuale, dovendo, per contro, procedere ad una ponderata valutazione della professionalità del lavoratore al fine di salvaguardare, in concreto, il livello professionale acquisito e di fornire un'effettiva garanzia dell'accrescimento delle capacità professionali".

Corte di cassazione - Sentenza n. 16594/2020

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