Civile

Imprese in crisi, il finanziamento predatorio si perde

di Patrizia Maciocchi

Non ha diritto alla restituzione delle somme la società che finanzia un’impresa, di cui conosce lo stato di crisi, allo scopo di acquisirne gli asset. Con il risultato di ritardarne il fallimento, a danno dei creditori, e consentire a un’azienda ormai prossima alla “decozione”, di restare sul mercato.

La Cassazione (sentenza 16706), respinge il ricorso di un noto pastificio contro il no opposto dal tribunale alla richiesta di insinuazione al passivo dell’impresa fallita, operante nello stesso settore.

Alla base del credito vantato un’ingente somma relativa a pagamenti anticipati per forniture mai effettuate. Per il tribunale il credito era il frutto di un finanziamento illecito, che configurava un concorso in bancarotta. Il denaro richiesto corrispondeva a forniture non eseguite per un anno e neppure pattuite, diversamente da quanto accaduto in passato tra le due imprese. Altro elemento di anomalia stava nel fatto che un’azienda in piena produzione, nello stesso ramo, avesse bisogno di merce.  Per finire c’era la stipula di un contratto di opzione per la cessione del capitale sociale della fallita all’amministratore della creditrice. E, a seguire, inadempiuto quell’accordo, la promessa di vendita allo stesso cessionario, a fronte del prezzo dei crediti, di un immobile di una società collegata alla fallita e da questa acquisito.

Un quadro che porta i giudici di legittimità ad affermare che il negozio è contrario sia alle norme penali, che impongono di non aggravare il dissesto, sia all’ordine pubblico economico rispetto alla buona fede nelle relazioni contrattuali.

Il finanziamento è anche un offesa al buon costume (articolo 2035 del Codice civile), nozione applicabile al settore. Violazione contestata per il pregiudizio arrecato ai creditori, a causa dell’aumento delle dimensioni della crisi, mantenendo l’imprenditore, fallito a distanza di pochi mesi, al di fuori delle procedure concorsuali: il tutto a scopo predatorio. L’operazione della ricorrente è in contrasto con le clausole generali di corretta condotta commerciale e delle relazioni di mercato fra competitori.

Regole che devono essere seguite dagli imprenditori, specialmente nei rapporti con quelli in crisi.

In questo senso vanno tutte le più recenti indicazioni normative: dalla direttiva Ue 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio, sulla ristrutturazione e sull’insolvenza, fino al Codice della crisi e dell’insolvenza (Dlgs 14/2019).

La norma europea va in quella direzione guidando la disciplina interna innovativa o adeguando quella esistente verso la necessità di un’emersione precoce delle difficoltà finanziarie e delle relative informazioni, come contributi al corretto funzionamento del mercato, mettendo le azioni richieste in diretto rapporto con istituti di vantaggio, improntati ad una collaborazione trasparente. Lo stesso fa il Codice della crisi che , anche per la parte già in vigore, impone, con il riformato articolo 2086 del Codice civile, una rilevazione interna tempestiva della crisi e della perduta continuità aziendale. Mentre, più in generale, a regime, indirizza i debitori verso l’adozione di strumenti concorsuali appropriati per ristrutturare i debiti.

Corte di cassazione – Sezione I – Sentenza 5 agosto 2020 n.16706

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©