Civile

Giurisdizione contabile sulle "spese pazze" dei Consiglieri regionali

Francesco Machina Grifeo

Nessuno sconfinamento giurisdizionale da parte della Corte dei conti nella condanna per danno erariale dei consiglieri regionali della Lega finiti sotto processo dopo aver ottenuto dai Gruppi di appartenenza rimborsi indebiti per spese estranee al mandato elettivo. Lo hanno chiarito le Sezioni Unite civili della Cassazione, sentenze n. 19171 e 19173, respingendo i ricorsi di un consigliere e del presidente del Gruppo consiliare "Lega Lombarda-Lega Nord Padania" del Consiglio della Regione Lombardia, nel periodo 2008-2010, ora definitivamente condannati a pagare 13.500 e 3.400 euro. Stessa sorte anche per un consigliere della Lega Nord in Emilia Romagna condannato a versare 3.600 euro.

Sotto la lente dalla magistratura contabile erano finite spese di ristorazione non documentate né riconducibili ad attività istituzionale, rilevanti spese di cancelleria e stampa ("ingiustificate alla luce delle dotazioni informatiche"), oltre all'acquisto di accessori già a disposizione dei consiglieri, per le quali i Gruppi avevano disposto il rimborso "in palese assenza di motivazione".

Per la difesa, tuttavia, attraverso il sindacato di merito sulle scelte di spesa, la Corte dei conti avrebbe travalicato i limiti della propria giurisdizione a scapito dell'autonomia legislativa della Regione. Un ragionamento bocciato dalla Suprema corte secondo cui è vero che il controllo giurisdizionale non può, a pena di debordare, investire l'attività politica del componente (presidente e consigliere) del gruppo consiliare o le scelte di "merito" effettuate nell'esercizio del mandato; tuttavia - rimanendo nell'alveo di un giudizio di conformità alla legge dell'azione amministrativa -, la Corte dei conti può operare la "verifica di difformità delle attività di gestione del contributo erogato al gruppo consiliare rispetto alle finalità, di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa vigente".

E così è stato, prosegue la decisione, nel caso specifico, considerato che la sentenza non ha avuto a oggetto il "merito" delle spese effettuate - ossia un controllo volto a sindacarne la oro utilità od opportunità – "bensì unicamente la giustificazione della spesa tramite adeguata documentazione e, quindi, il piano dimostrativo di quel rapporto di correlazione tra spesa stessa e finalità per la quale, normativamente, il contributo viene erogato", attraverso un giudizio di congruità parametrato a criteri oggettivi.

Non vi è infine, conclude la Cassazione, una sorta di autodichia dei gruppi consiliari. Come affermato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 235 del 2015, in ordine alla gestione delle somme erogate a titolo di contributi pubblici ai gruppi consiliari, i capigruppo dei Consigli regionali e tutti i consiglieri regionali, "anche se sottratti alla giurisdizione di conto, restano assoggettati alla responsabilità amministrativa e contabile (oltre che penale, ricorrendone i presupposti)". Conclusione, questa, che resta ferma anche in presenza di una disciplina regionale che preveda l'approvazione dei rendiconti da parte dell'ufficio di Presidenza, "poiché il voto dato in tali sedi rappresenta una ratifica formale di spese già effettuate dai gruppi e non già un atto deliberativo che ne costituisce ex ante il titolo giustificativo". Opinare diversamente condurrebbe "al risultato abnorme, e senza dubbio contrario alla natura eccezionale della guarentigia, di delineare un'area di totale irresponsabilità civile, contabile e penale in favore dei consiglieri regionali", non accordata neppure ai parlamentari.

Corte di cassazione - Sezioni Unite civili - Sentenze 15 settembre 2020 n. 19173

Corte di cassazione - Sezioni Unite civili - Sentenze 15 settembre 2020 n. 19171

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