Civile

Marchi, la fase di preparazione al lancio del prodotto non blocca la decadenza per non uso

Francesco Machina Grifeo

Al fine di impedire la decadenza per non uso di un marchio registrato non rilevano "gli atti preparatori al lancio del prodotto", in quanto "atti interni" e come tali "non rivolti al pubblico". Non solo, anche gli impedimenti personali soggettivi dell'imprenditore sono da considerarsi irrilevanti. Lo ha stabilito la Sezione imprese del Tribunale di Milano con la sentenza n. 5205/2020 depositata il 7 settembre scorso.

Al centro del contenzioso il profumo "Aqua Nuntia" messo in commercio da due società, controllate dalla famiglia Vidal, convenute in giudizio dall'erede di un collaboratore di D'Annunzio, l'ideatore della fragranza, che rivendicava la proprietà del marchio precedentemente registrato. Il nome "Aqua Nuntia", la formula della fragranza e la stessa bottiglia, sono stati infatti ideati dal Poeta. L'attore tuttavia pur avendo registrato il marchio dapprima in Italia, nel 2010, e successivamente a livello UE, nel 2012, non l'aveva mai messo in commercio, limitandosi ad attività di natura preparatoria alla commercializzazione.

Il Tribunale di Milano ha così rigettato le sue pretese e accertato in via riconvenzionale la decadenza per non uso del marchio italiano, dopo che anche l'Euipo (l'ufficio dell'Unione europea per la Proprietà intellettuale incaricato di gestire i marchi dell'Unione europea) aveva già dato ragione alle due società veneziane e disposto la cancellazione della registrazione del marchio a livello Ue.

"Come noto - si legge nella decisione - il titolare del marchio comunitario decade (ex art.58, paragrafo 1, lett. a), RMUE) dai suoi diritti, su domanda presentata all'EUIPO, se il marchio non ha formato oggetto di un uso effettivo per un periodo ininterrotto di cinque anni e non vi sono state ragioni legittime per la mancata utilizzazione".

Passando alla questione della tutela nazionale del marchio, per il Tribunale, la parte attrice, "a fronte della domanda di decadenza, non ha documentato un'utilizzazione effettiva del proprio segno, neppure nel mercato interno". Secondo il combinato disposto degli artt. 26 lett. c) e 24 c.p.i., infatti, il marchio decade ove esso non venga utilizzato entro cinque anni dalla registrazione ovvero se l'uso ne venga sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni. La ratio della disposizione, spiega la sentenza, "risiede nel c.d. statuto di libera appropriabilità dei segni distintivi sul mercato, ove non oggetto di effettivo da parte del loro titolare".

E l'uso effettivo di un logo va ravvisato "solamente quando lo stesso sia utilizzato realmente sul mercato per i prodotti e/o servizi per i quali è stato contrassegnato". Non è dunque necessario, prosegue il ragionamento, valutare il successo commerciale di una impresa sotto il profilo qualitativo e/o quantitativo, ma rileva esclusivamente l'effettiva circolazione nel mercato del marchio contestato. "Deve trattarsi di un impiego concreto e reale, non simbolico e/o sporadico del marchio, assolvendo in tale guisa allo scopo di rendere edotto il consumatore sull'origine del prodotto". Il proprietario del marchio deve dunque dimostrare: a) un'effettiva distribuzione del prodotto presso il pubblico; b) una presenza certa sul mercato capace di incidere sulla sfera dei concorrenti.

In definitiva, il criterio per valutare l'uso concreto è quello di vagliare l'incidenza delle attività compiute dal titolare in una duplice direzione: "rispetto al pubblico interessato all'acquisto e rispetto ai concorrenti, solo in presenza di queste condizioni il monopolio su un determinato segno è ritenuto giustificato dall'ordinamento, in deroga allo statuto di libera utilizzabilità". Infine, il mancato utilizzo deve essersi prolungato per un arco temporale di cinque anni dalla sua registrazione.

La parte attrice ha invece "solo documentato la preparazione e la progettazione del lancio sul mercato del marchio oggetto di lite, per contraddistinguere il profumo che aveva in animo di lanciare sul mercato" ma "tale attività ha costituito un uso meramente interno, senza un'effettiva utilizzazione sul mercato". Mentre il fatto che parte attrice abbia seguito ogni singola fase del progetto - dallo studio alla progettazione del prodotto finale - giocano un ruolo neutro rispetto dunque alla decadenza del proprio logo. "La ratio dell'istituto della decadenza – insiste la decisione - è proprio quella di impedire un monopolio sul mercato di segni distintivi in un periodo indefinito di tempo senza un loro uso effettivo per lo scopo per il quale sono destinati, ovvero contraddistinguere presso il consumatore beni o servizi da quelli di altri operatori di mercato".

Infine, conclude il Tribunale, le cattive condizioni di salute non sono un ostacolo alla declaratoria di decadenza, "tenuto conto che l'uso del segno distintivo, riferibile ad una realtà imprenditoriale e non alla persona fisica in sé, può essere compiuto anche attraverso terzi, ad esempio attraverso la concessione di licenze". Infatti "solo ostacoli dotati di un legame sufficientemente diretto con il marchio, indipendenti dalla volontà del titolare dello stesso e, tali da renderne l'uso impossibile, possono essere qualificati quali motivi legittimi del mancato uso, idonei ad impedire il rimedio della decadenza".

Tribunale di Milano - Sentenza 7 settembre 2020 n. n. 5205/2020

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