Famiglia

Accertamento giudiziale della maternità, il diritto all'anonimato si affievolisce con la morte

Francesco Machina Grifeo

Fin quando la madre naturale è in vita il suo diritto all'anonimato al momento del parto (riconosciuto da diverse norme dell'ordinamento) deve essere massimamente tutelato. Nel periodo successivo alla sua morte, tuttavia, il bilanciamento dei valori di rango costituzionale che segue la richiesta di accertamento dello status di figlio naturale cambia e «l'esigenza di tutela dei diritti degli eredi e discendenti della donna che ha optato per l'anonimato non può che essere recessiva rispetto a quella del figlio che rivendica il proprio status"» Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 19824 depositatail 22 settembre, respingendo il ricorso di una figlia legittima della donna contro la decisione della Corte di appello di Taranto che aveva accolto la richiesta di riconoscimento della maternità da parte di un terzo.

La prima Sezione civile ribadisce che «al cospetto del diritto al riconoscimento dello status di filiazione», quello della madre - ancora in vita - a mantenere l'anonimato al momento del parto «si pone comunque in posizione preminente». Questo diritto, infatti, «è finalizzato a tutelare i beni supremi della salute e della vita, oltre che del nascituro, della madre, la quale potrebbe essere indotta a scelte di natura diversa, fonte di possibile forte rischio per entrambi, ove, nel momento di estrema fragilità che caratterizza il parto, la donna che opta per l'anonimato avesse solo il dubbio di poter essere esposta, in seguito, ad un'azione di accertamento giudiziale della maternità». In tale prospettiva, dunque, e per garantire ampia tutela alla donna che compie tale difficile scelta, il diritto all'anonimato non può essere in alcun modo sacrificato o compresso per tutta la durata della vita della madre.

Tale regola può essere, al limite, derogata (consentendo quindi l'esercizio dell'accertamento giudiziale della maternità), prosegue la decisione, «solo ove fosse stata proprio la madre (come, peraltro, è accaduto nel caso che forma oggetto del presente procedimento) con la propria inequivocabile condotta, ad aver manifestato la volontà di revocare nei fatti la scelta, a suo tempo presa, di rinuncia alla genitorialità giuridica, accogliendo nella propria casa il bambino come un figlio».

A diverse conclusioni, invece, argomenta la Corte, «si deve addivenire con riferimento al periodo successivo alla morte della madre, in relazione al quale il diritto all'anonimato in oggetto è suscettibile di essere compresso, o indebolito, in considerazione della necessità di fornire piena tutela - a questo punto al diritto all'accertamento dello status di filiazione».

E' pur vero, come già chiarito dalla Cassazione (sentenza n, 22838/2016), che «ogni profilo di tutela dell'anonimato non si esaurisce con la morte della madre, non dovendosi escludere la protezione dell'identità ‘sociale' costruita in vita da quest'ultima». Tuttavia, «non vi è dubbio che con riferimento all'ampiezza del diritto all'accertamento dello status di figlio naturale, nel bilanciamento dei valori di rango costituzionale che si impone all'interprete per il periodo successivo alla morte della madre, l'esigenza di tutela dei diritti degli eredi e discendenti della donna che ha optato per l'anonimato non può che essere recessiva rispetto a quella del figlio che rivendica il proprio status».

In conclusione, venendo meno per effetto della morte della madre, «l'esigenza di tutela dei diritti alla vita ed alla salute, che era stata fondamentale nella scelta dell'anonimato, non vi sono più elementi ostativi non soltanto per la conoscenza del rapporto di filiazione, ma anche per la proposizione dell'azione volta all'accertamento dello status di figlio naturale, ex art. 269 cod. civ.».


Tornando al caso di specie, ne consegue che l'azione di accertamento giudiziale della maternità proposta dopo il decesso della madre è pienamente ammissibile per due ordini di ragioni: è stata proposta dopo che il diritto della madre premorta a mantenere l'anonimato si era, per le ragioni sopra illustrate, indebolito; in ogni caso, è stata proposta per ottenere l'accertamento della maternità nei confronti di una donna che aveva dimostrato nei fatti di aver superato essa stessa (l'originaria scelta dell'anonimato, trattando l'odierno controricorrente come uno dei suoi figli).

Quanto al regime di prova, la Cassazione ribadisce che essa è libera e può avvalersi di elementi presuntivi, potendo la maternità - come la paternità - essere provata con ogni mezzo. In questo senso sono stati considerati come «plurimi indizi gravi, precisi e concordanti» gli esiti della consulenza immunogenetica, le deposizioni di testi non legati da vincoli di parentela e/o affinità, ed il verbale di testamento olografo, oltre al fatto che sin da piccolo il richiedente era stato accolto in casa e trattato come uno dei figli.

Corte di cassazione - Sentenza 22 settembre 2020 n. 19824

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©