Comunitario e Internazionale

Corte Ue: Italia condannata per i ritardi nei pagamenti della Pa

Francesco Machina Grifeo

L'Italia avrebbe dovuto assicurare il rispetto da parte delle pubbliche amministrazioni dei termini di pagamento nelle transazioni commerciali con le imprese private. Lo ha stabilito la Corte Ue, con la sentenza nella causa C-122/18, nel ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione contro l'Italia. La Corte, riunita in Grande Sezione, ha infatti constatato una violazione da parte dell'Italia della direttiva 2011/7/UE, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in quanto non ha assicurato che le sue pubbliche amministrazioni, quando sono debitrici nel contesto di simili transazioni, rispettino effettivamente termini di pagamento non superiori a 30 o 60 giorni di calendario (quali stabiliti all'articolo 4, paragrafi 3 e 4, di tale direttiva).

Il ricorso - La Commissione, alla quale diversi operatori economici e associazioni avevano rivolto denunce per i tempi eccessivamente lunghi con cui le pubbliche amministrazioni italiane saldavano le proprie fatture, ha proposto un ricorso contro l'Italia. L'Italia, a propria difesa, ha sostenuto che la direttiva 2011/7 impone unicamente di garantire termini massimi di pagamento conformi alla direttiva nonché di prevedere il diritto dei creditori, in caso di mancato rispetto di tali termini, a interessi di mora e al risarcimento dei costi di recupero. Senza però imporre l'effettiva osservanza dei suddetti termini da parte delle loro pubbliche amministrazioni.

La motivazione - La Corte ha respinto l'argomentazione affermando che la direttiva 2011/7 impone il rispetto «effettivo» dei termini di pagamento. Infatti, è proprio in considerazione dell'elevato volume di transazioni commerciali in cui le pubbliche amministrazioni sono debitrici di imprese, nonché dei costi e delle difficoltà generate per queste ultime da ritardi di pagamento, che il legislatore dell'Unione ha imposto il rispetto di obblighi rafforzati.

La Corte ha poi respinto anche l'argomento secondo cui le Pa non possono far sorgere la responsabilità dello Stato quando agiscono jure privatorum, al di fuori cioè delle prerogative pubbliche. Una simile interpretazione, secondo i giudici, finirebbe con il privare di effetto utile la direttiva 2011/7, in particolare il suo articolo 4, paragrafi 3 e 4, che fa gravare proprio sugli Stati membri l'obbligo di assicurare l'effettivo rispetto dei termini di pagamento.

La Corte ha infine sottolineato che il supposto «miglioramento», negli ultimi anni, nel rispetto dei termini, non impedisce di dichiarare che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi su essa incombenti. Infatti, secondo giurisprudenza costante, l'esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, ossia, nel caso di specie, il 16 aprile 2017.

Corte Ue - Sentenza nella causa C-122/18

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©