Comunitario e Internazionale

Extracomunitari, domande di "protezione" anche al giudice, no al trattenimento

Francesco Machina Grifeo

Più tutele per i cittadini extra comunitari alla ricerca di "protezione internazionale". La Corte di giustizia di Lussemburgo, con la sentenza 25 giugno 2020, nella causa C-36/20 PPU, ha infatti accordato maggiore libertà nella presentazione delle domande e fissato rigidi paletti per il «trattenimento». Per i giudici europei anche il giudice istruttore chiamato a pronunciarsi sul trattenimento di un irregolare di un paese terzo rientra nel novero delle «altre autorità» preposte a ricevere domande di protezione internazionale e deve informare l'interessato delle modalità concrete di inoltro della domanda. Non solo la persona che abbia manifestato la volontà di chiedere la protezione internazionale non può essere trattenuta a causa delle disponibilità insufficienti in un centro di accoglienza umanitaria.

La vicenda - Il 12 dicembre 2019, un'imbarcazione a bordo della quale si trovavano 45 persone di paesi terzi, tra cui un cittadino del Mali, è stata intercettata dal soccorso marittimo spagnolo nei pressi dell'isola di Gran Canaria (Spagna), dove poi sono stati condotti. L'indomani, un'autorità amministrativa ne ha disposto l'allontanamento e ha formulato una domanda di collocazione in un centro di trattenimento. A questo punto lo straniero ha manifestato l'intenzione di chiedere la protezione internazionale. In mancanza di sufficienti disponibilità in un centro di accoglienza umanitaria, il giudice ne ha però disposto il collocamento in un centro di trattenimento. Da qui il ricorso contro la decisione poi rimbalzato alla Corte Ue.

Investita della questione, la Corte europea ha dichiarato che un giudice istruttore chiamato a pronunciarsi sul trattenimento di un cittadino di un paese terzo in situazione irregolare rientra nella nozione di «altre autorità» (ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2013/32, cd. «direttiva procedure»), che sono preposte a ricevere le domande di protezione internazionale sebbene non siano competenti, a norma del diritto nazionale, a registrarle. Il giudice è poi tenuto ad informare il richiedente sulle modalità concrete di inoltro della domanda. La Corte ha altresì dichiarato che l'impossibilità di trovare un alloggio in un centro di accoglienza umanitaria non può giustificare il trattenimento di un richiedente protezione internazionale.

Le motivazioni - Ricapitolando. In primo luogo, la Corte ha precisato che la scelta dell'aggettivo «altre», testimonia la volontà del legislatore dell'Unione di accogliere una concezione ampia delle autorità che, senza essere competenti a registrare le domande, possono tuttavia riceverle. Tale espressione può, pertanto, ricomprendere tanto autorità amministrative quanto autorità giurisdizionali. Del resto, prosegue la decisione, uno degli obiettivi perseguiti dalla direttiva «procedure» è proprio quello di garantire un accesso effettivo, ossia più facile possibile, alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale. In questo senso, vietare a un'autorità giurisdizionale di ricevere le domande ostacolerebbe la realizzazione di tale obiettivo, in particolare nel caso di procedimenti assai rapidi, nei quali l'audizione del richiedente da parte di un giudice rappresenta la prima occasione per presentare la domanda.

In secondo luogo, il giudice è tenuto a fornire ai richiedenti protezione internazionale informazioni sulle modalità concrete di inoltro della domanda. E qualora il richiedente abbia manifestato la volontà di presentare la domanda a un giudice istruttore, quest'ultimo deve trasmettere il fascicolo all'autorità competente.

In terzo luogo, la Corte ha esaminato la compatibilità del trattenimento con le direttive «procedure» e «accoglienza». Anche in questo ambito, per i giudici, occorre accogliere una concezione ampia della nozione di «richiedente protezione internazionale», al punto che un cittadino di un paese terzo acquisisce tale qualità dal momento in cui presenta una domanda di protezione internazionale. Dunque, la semplice volontà di chiedere la protezione internazionale davanti ad un'«altra autorità», come un giudice istruttore, è sufficiente a conferirgli la qualità di richiedente protezione internazionale. Di conseguenza, da quel momento in poi, le condizioni di trattenimento sono disciplinate dall'articolo 26, paragrafo 1, della direttiva «procedure» nonché dall'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva «accoglienza». E dal momento che l'articolo 8, paragrafo 3, primo comma, di quest'ultima direttiva enumera esaustivamente i vari motivi tali da giustificare il trattenimento e che l'impossibilità di trovare un alloggio in un centro di accoglienza umanitaria non corrisponde ad alcuno dei sei motivi di trattenimento, il trattenimento è contrario alle prescrizioni della direttiva «accoglienza».

Corte Ue – Sentenza 25 giugno 2020 nella causa C-36/20 PPU

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