Comunitario e Internazionale

Giudici di pace, la Cgue apre un varco per la retribuzione delle ferie

di Francesco Machina Grifeo

La negazione delle ferie retribuite ai giudici di pace italiani potrebbe esser giustificata dalla natura delle responsabilità e dei compiti attribuiti a tale categoria. Lo ha stabilito la Corte Ue, con la sentenza C-658/18, di oggi aggiungendo che dovrà essere il giudice nazionale a stabilire, in concreto se un giudice di pace si trovi in una situazione paragonabile a quella di un magistrato ordinario, tale, quindi, da poter beneficiare del periodo di ferie annuali retribuito.

L'inquadramento dei Gdp
– La Corte di Lussemburgo ricorda che in Italia, l'ufficio del giudice di pace è ricoperto da un magistrato onorario – in genere, un avvocato – nominato per un determinato periodo di tempo. E che nell'esercizio delle loro funzioni, i giudici di pace fanno parte dell'ordine giudiziario, anche se possono continuare a svolgere la professione di avvocati (purché non nel circondario nel cui ambito ha sede l'ufficio al quale sono stati assegnati come giudici di pace). Per l'esercizio delle funzioni di giudice di pace, ricevono dallo Stato, con cadenza mensile, delle indennità fisse a titolo di rimborso spese nonché delle indennità variabili parametrate al numero di udienze tenute e al numero di cause definite nel mese. Nei periodi in cui non lavorano, come nel periodo di ferie giudiziarie, non ricevono però alcun compenso. I giudici ordinari (magistrati cosiddetti "togati", cioè professionali), invece, sono assunti a tempo indeterminato dopo il superamento di un concorso pubblico, non possono esercitare alcuna altra professione, sono retribuiti con uno stipendio fisso e hanno diritto a 30 giorni di ferie annuali retribuite.

La vicenda
- Nel 2018, la signora UX, giudice di pace, ha chiesto al giudice di pace di Bologna l'emissione di un decreto ingiuntivo contro lo Stato italiano per il pagamento di 4500 euro a titolo di retribuzione delle ferie di quell'anno. La somma corrisponde alla retribuzione di un magistrato togato con anzianità di servizio di 14 anni, quanti sono gli anni in cui la signora UX ha svolto l'incarico di giudice di pace. Il pagamento è stato richiesto a titolo di risarcimento del danno subito per la violazione, da parte dello Stato italiano, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, della direttiva 2003/88/CE su taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, nonché dell'articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (diritto alle ferie annuali retribuite). Il giudice di pace di Bologna si è quindi alla Corte di giustizia.

La motivazione
– I giudici europei rilevano che un giudice di pace potrebbe rientrare nella nozione di "lavoratore a tempo determinato" se nominato per un periodo limitato e se svolge, nell'ambito delle sue funzioni, prestazioni reali ed effettive, non puramente marginali né accessorie, per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo (circostanze che il giudice nazionale dovrà verificare). La Corte osserva, inoltre, che una differenza di trattamento dei giudici di pace rispetto ai giudici ordinari, ai fini delle ferie retribuite, può essere giustificata da differenze obiettive tra le due categorie. La Corte annota, ad esempio, che le controversie assegnate ai giudici di pace non hanno la complessità che caratterizza le controversie attribuite ai giudici ordinari. Sottolinea poi l'importanza riconosciuta dalla Costituzione italiana al concorso per l'ingresso nella magistratura ordinaria.

Alla luce di tutte queste considerazioni conclude che sarà il giudice nazionale a dover affermare se le due condizioni sono comparabili. Aggiungendo però che - in linea di massima e fatta sempre salva la valutazione in concreto del giudice nazionale -, le differenze di trattamento esistenti tra giudici di pace e giudici ordinari, compresa quella in materia di ferie annuali retribuite, potrebbero apparire adeguate e proporzionate rispetto all'obiettivo di differenziare diverse modalità di esercizio della funzione giudicante.

Corte Ue - Sentenza 16 luglio 2020 – Causa C-658/18

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