Comunitario e Internazionale

Divorzio transnazionale, sì alla legge più restrittiva

di Marina Castellaneta

Nel caso di divorzio transnazionale, la legge di uno Stato membro richiamata da un regolamento Ue va applicata anche se contiene condizioni più restrittive rispetto a quella del foro, poiché questa situazione non può essere assimilata al caso in cui in un ordinamento non sia previsto il divorzio.

Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 16 luglio (causa C-249/19), sul regolamento n. 1259/2010 sull’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e sulla separazione personale (“Roma III”), relativo alle situazioni aventi carattere transnazionale.

A rivolgersi a Lussemburgo è stato il Tribunale superiore di Bucarest (Romania) alle prese con un divorzio tra una coppia di cittadini rumeni.

Un coniuge si era rivolto ai giudici di un tribunale rumeno chiedendo il divorzio, ma i giudici avevano rigettato la domanda per mancanza di giurisdizione.

La vicenda era andata avanti e, successivamente, i tribunali rumeni, competenti in base al regolamento n. 2201/2003, avevano dichiarato applicabile la legge italiana per regolare gli aspetti sostanziali del divorzio perché nel momento della presentazione della domanda la loro residenza abituale era in Italia (articolo 8 del regolamento n. 1259/2010). Inoltre, poiché per la legge italiana era necessario che un’autorità giurisdizionale avesse omologato o promulgato la separazione personale dei coniugi e fossero trascorsi tre anni per poi proporre la domanda di divorzio, i giudici avevano respinto la domanda. Così, il provvedimento era stato impugnato da un coniuge: a suo avviso, a causa delle condizioni imposte dalla legge italiana, si sarebbe dovuta applicare la legge rumena.

Nodo centrale è se una legge restrittiva in materia di divorzio, che impone un periodo di separazione e altre condizioni prima della pronuncia di scioglimento del matrimonio, possa essere equiparata all’ipotesi in cui la legge richiamata non preveda il divorzio.

L’articolo 10 del regolamento n. 1259/2010, infatti, stabilisce che se la legge applicabile non prevede il divorzio o non concede il divorzio a uno dei coniugi perché appartenente all’uno o all’altro sesso, si applica la legge del foro. La Corte Ue ha respinto l’interpretazione che porterebbe ad assimilare il caso di mancata previsione del divorzio a una legge che stabilisce condizioni particolari e diverse rispetto a quelle dello stato del foro, precisando che l’articolo 10 è un’eccezione agli articoli 5 e 8 del regolamento che individuano la legge da applicare e, quindi, in quanto «disposizione derogatoria deve essere interpretata restrittivamente». La deroga prevista, inoltre, è chiara e non fa sorgere dubbi dal punto di vista testuale. Non solo.

La separazione personale è indicata espressamente nell’articolo 10 e, quindi, l’istituto fa parte integrante dell’impianto generale del regolamento. Se poi fosse accolta la possibilità di equiparare il richiamo a una legge con condizioni più restrittive al caso in cui un ordinamento non preveda il divorzio, si vanificherebbe l’obiettivo del regolamento che è quello di «istituire un quadro giuridico chiaro e completo in materia di legge applicabile al divorzio e alla separazione personale negli Stati membri partecipanti», assicurando certezza del diritto, prevedibilità e flessibilità nei procedimenti matrimoniali internazionali. Solo così – precisa Lussemburgo – si evita la corsa alla legge più favorevole e al giudice «la cui legge subordini il divorzio a condizioni meno restrittive».

Corte di giustizia dell'Unione europea – Sezione I – Sentenza 16 luglio 2020 – Causa C-249/19

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