Penale

Non è retroattiva la riforma Orlando sui motivi di appello

di Giovanni Negri

La riforma delle impugnazioni dettata dalla legge Orlando sul processo penale, datata 2017, non ha portata retroattiva. Manca infatti una puntuale disciplina della fase transitoria e, quindi, bisogna fare riferimento, quanto a individuazione delle norme applicabili, alla data di presentazione dell’appello. Lo chiarisce il principio di diritto messo a punto dalla Cassazione con la sentenza n. 843 della Terza sezione penale depositata ieri. La pronuncia ha accolto il ricorso presentato dalla difesa di un imputato che, in secondo grado, si era visto respingere come inammissibile l’impugnazione per difetto di specificità.

La Corte considera un errore di diritto commesso dalla Corte d’appello l’avere ritenuto che la riforma Orlando sia applicabile anche per il passato. In questo senso, se non esiste un precedente specifico in materia, a fare da riferimento ci sono le sentenze di Cassazione con le quali è stato preso in esame un caso simile, quello delle modifiche processuali ai poteri di impugnazione del pubblico ministero, limitati in caso di doppio verdetto di assoluzione.

In quel caso, la Cassazione (sentenza n. 4398 del 2018, per esempio) stabilì che il riferimento doveva essere fissato alla data di presentazione del ricorso, momento in cui matura l’aspettativa del ricorrente alla valutazione sull’ammissibilità dell’impugnazione. Si tratta, scrive oggi la Corte, di un «principio condivisibile», che trova applicazione anche per quella parte dell’intervento del 2017 che ha interessato la modifica della disciplina delle impugnazioni e, in particolare, i presupposti per la dichiarazione di inammissibilità che colpisce gli atti privi di un’enunciazione specifica dei motivi, con l’indicazione degli elementi di diritto e di quelli di fatto che sono a fondamento di ciascuna richiesta avanzata.

E allora, nella vicenda approdata in Cassazione, l’appello meritava un esame più attento, soprattutto sotto il profilo della diversa qualificazione giuridica del fatto. Su questo punto i giudici di secondo grado si sarebbero dovuti esprimere, tanto più che in primo grado era stata assente una considerazione proprio della qualificazione giuridica.

Corte di cassazione, Terza sezione penale, sentenza 13 gennaio 2020 n. 843

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