Penale

Marito corresponsabile dell'abbandono del cane se lo lascia all'ex che lo detesta

Francesco Machina Grifeo

Chi, dopo essersi separato, affida il cane di famiglia all'ex coniuge, pur conoscendone l'avversione, risponde alla pari dell'eventuale abbandono dell'animale in quanto ne ha consapevolmente accettato il rischio. È questo il ragionamento che ha portato la Corte di cassazione, sentenza n. 6609 di ieri, a dichiarare inammissibile il ricorso di un ex marito condannato con la moglie (che non ha proposto ricorso) a pagare 700 euro ciascuno di ammenda per abbandono di animali anche se all'epoca dei fatti era partito da Ischia, dove vivevano entrambi, per motivi di lavoro.

La donna che aveva ricevuto il cane in affidamento per una ventina di giorni, trascorsa poco più di una settimana di convivenza con l'odiato buldog - che «rompeva le sedie», «sbavava continuamente» ed era anche costato una fortuna (1.400 euro) -, decide di disfarsene. E, per quanto è possibile ricostruire, cerca di farlo nel modo meno rischioso per l'animale, lasciandolo sì legato ad un palo ma di fronte al presidio sanitario dell'isola "Villa romana". Tant'è che a distanza di un paio d'ore un dipendente dell'Asl lo aveva già preso in custodia ed attraverso il microchip era risalito ai proprietari.

La Terza sezione penale però ricorda che il reato di abbandono scatta ogni qual volta vi sia «interruzione della relazione di custodia e di cura» con l'animale, «a prescindere dalla verificazione di eventi ulteriori quali le sofferenze o la morte». In questo senso, prosegue la decisione, è «evidente che il cane sia stato abbandonato, essendo stato lasciato in balia di sé stesso per un apprezzabile lasso di tempo, legato a un palo, e senza essere affidato alla custodia e alla cura di altro soggetto».

Per la Suprema corte dunque nonostante fosse accertato che l'autrice materiale dell'abbandono era stata la moglie (con la quale, dopo la separazione, non erano stati presi accordi su chi dovesse accudire in modo esclusivo l'animale), del reato risponde, a titolo di «dolo eventuale», anche l'ex marito. Si tratta di quella specifica forma di dolo che consiste nell'accettare la possibilità che un evento lesivo si verifichi. Egli aveva cioè accettato il rischio che la moglie, cui aveva affidato la custodia del cane, lo abbandonasse. Tale previsione, argomenta la sentenza, era infatti «sorretta da solidi elementi di fatto», ben noti all'imputato, quali la circostanza che era stato lui a portare in casa il cane «nonostante il dissenso della moglie a causa sia del costo, sia, e soprattutto, del fatto che la donna non amasse gli animali». «È perciò evidente - conclude la Corte - che il marito si sia rappresentato la circostanza che la donna, a cui aveva affidato il cane durante il suo periodo di assenza per motivi di lavoro, potesse concretamente abbandonarlo: rappresentazione che, tuttavia, non gli ha impedito di agire, anche a prezzo che si verificasse l'abbandono, come poi è avvenuto».

Corte di cassazione – Sentenza 20 febbraio 2020 n. 6609

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