Penale

Patente di guida, la libertà vigilata non obbliga il prefetto alla revoca

Francesco Machina Grifeo

No alla revoca automatica della patente di guida, da parte del prefetto, nei confronti di chi è sottoposto ad una misura di sicurezza. Tanto più che l'ordinamento prevede invece che il magistrato di sorveglianza possa comunque autorizzare il soggetto alla guida. La Corte costituzionale, sentenza n. 24 di ieri, ha così dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 120, comma 2, del "Nuovo codice della strada" (Dlgs 285/1992) «nella parte in cui dispone che il prefetto "provvede" - invece che "può provvedere" - alla revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza personale».

La questione è stata sollevata dal Tar Marche e dal Tribunale di Lecco. La Consulta ricorda che il comma 2 era già stato dichiarato illegittimo (sentenza n. 22 del 2018) nella parte in cui disponeva la revoca obbligatoria, e non facoltativa, sempre da parte del Prefetto, a seguito della condanna per reati in materia di stupefacenti. Già in quel caso infatti i giudici avevano rilevato che la norma ricollegava il medesimo effetto «ad una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità», e contrastava con i differenti poteri del giudice.

Tornando al caso specifico, il Collegio osserva che anche con riguardo alla revoca prefettizia nel caso di misure di sicurezza, si mettono insieme fattispecie eterogenee «in quanto connotate dalla pericolosità, più o meno grave, del soggetto e dalla varietà e diversa durata delle misure di sicurezza personali: misure che, ove non detentive (come la libertà vigilata), sono pur tutte compatibili con la possibilità di utilizzare il titolo di abilitazione alla guida». L'irrogazione delle misure di sicurezza, prosegue la decisione, è infatti «essenzialmente "individualizzata" - quanto al tipo di misura da applicare, alla durata da computare e alle prescrizioni da osservare - in funzione della specificità delle situazioni soggettive». Ed è proprio a tal fine che l'autorità giudiziaria «esercita un potere connotato da elementi di discrezionalità».

In particolare, con riferimento alla libertà vigilata, il codice penale prevede che «la sorveglianza deve essere esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento della persona alla vita sociale»; mentre il codice di procedura penale che «la vigilanza è esercitata in modo da non rendere difficoltosa alla persona che vi è sottoposta la ricerca di un lavoro e da consentirle di attendervi con la necessaria tranquillità». Una tale finalità dunque «innegabilmente rischia di rimanere frustrata dall'applicazione "automatica" della revoca della patente di guida da parte del prefetto», per il solo fatto della irrogazione di una misura di sicurezza personale, «senza una valutazione "caso per caso" delle condizioni che rendano coerente, o meno, la revoca del titolo abilitativo alla funzione rieducativa della misura irrogata».

La Corte infine sottolinea la contraddizione, che l'ordinamento «irragionevolmente» consente, tra le misure adottabili dal magistrato di sorveglianza – il quale, come detto, nel disporre la misura di sicurezza, "può" consentire di continuare a fare uso della patente di guida – e dal prefetto, il quale, viceversa, sulla base della norma ora censurata, doveva, comunque, revocarla. Da qui, la violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza, che comportano il contrasto dell'articolo 120, comma 2, del codice della strada con l'articolo 3 della Costituzione e la conseguente sua declaratoria di illegittimità costituzionale.

Corte costituzionale - Sentenza n. 24 /2020

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