Penale

Lavoro di pubblica utilità non revocabile sulla base della presunta inerzia

Francesco Machina Grifeo

La presunta inerzia nell'attivazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità da parte del condannato per guida in stato di ebbrezza, non è sufficiente affinché il Gip revochi la misura meno afflittiva, ripristinando l'arresto e l'ammenda. Egli ha infatti prima il dovere di verificare se il Pm ha dato corso alla notifica del provvedimento all'ente di destinazione. Non essendovi alcun obbligo del condannato di dare avvio al procedimento. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 10562/2020, annullando, con rinvio, l'ordinanza del Gip.

Il ricorrente ha dedotto la mancata notifica della sentenza di condanna all'ente benefico, per cui pur essendosi recato più volte presso la sede dell'ente, non aveva mai ottenuto una risposta sull'inizio dei lavori di pubblica utilità.

Per la Prima sezione penale dalla «mera lettura della decisione» e «del foglio allegato con traccia delle notifiche» risulta «evidente che non vi era stata la rituale comunicazione alla ‘Confraternita di Misericordia' presso la quale avrebbe dovuto svolgersi il lavoro di pubblica utilità». «Ciò - prosegue la decisione - giustificava la mancata conoscenza della decisione da parte dell'Ente e quindi la mancanza di un piano organizzativo del lavoro, senza che ciò potesse essere addebitato al ricorrente». Infatti, «l'attivazione del procedimento finalizzato all'esecuzione dell'attività di pubblica utilità, cosi come le scelte discrezionali legate alla sua imposizione ed alle modalità di prestazione, sono rimesse all'iniziativa, non dell'obbligato, ma dell'autorità penale».

Spetta al giudice, prosegue la Corte, il potere di comminare la sanzione sostitutiva e di individuarne modalità attuative senza imporre oneri in capo al condannato, «il quale può soltanto sollecitare il potere del giudice, ma non è tenuto ad attivarsi per indicare l'ente o la struttura presso la quale svolgere il lavoro di pubblica utilità». Deve dunque ritenersi che sull'obbligato «non gravi l'onere di avviare il procedimento per lo svolgimento in fase esecutiva dell'attività».

In definitiva, conclude la Corte, è compito della Procura avviare la fase di esecuzione della sanzione sostitutiva «mediante comunicazione della sentenza di condanna all'Ente individuato nella sentenza». «Ne consegue che non risponde alla disciplina specifica dell'istituto e nemmeno ai principi generali in materia di esecuzione del giudicato penale sanzionare il ricorrente con la revoca della misura sostitutiva per la mancata prestazione del lavoro di pubblica utilità a fronte della sua presunta inerzia».

Corte di cassazione - Sentenza 10562/2020

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