Penale

Scrivere "Forza Vesuvio" o "Forza Etna" su Facebook non è reato

di Marina Crisafi

Scrivere "Forza Vesuvio" o "Forza Etna" su Facebook non vale una condanna. Parola di Cassazione, che con la sentenza n. 6933/2020 ha confermato l'assoluzione per una consigliera provinciale leghista di Monza. Per gli Ermellini non si può parlare di razzismo.

La vicenda - La vicenda nasceva da un post pubblicato anni prima dalla consigliera che nel 2017 veniva condannata dal tribunale di Monza a 20 giorni di reclusione per il reato ex art. 1 dl 122/1993 convertito dalla legge 205/1993 oltre che al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, quantificati nella misura simbolica di 1 euro.
La donna veniva successivamente assolta in appello perché il fatto non sussiste.
I fatti in contestazione riguardano l'attività di propaganda fondata sulla superiorità razziale ed etnica degli italiani settentrionali rispetto a quelli meridionali, posta in essere dall'imputata tramite Facebook, dove la stessa commentando un'immagine satellitare dell'Italia priva delle regioni centro-meridionali, comprese il Lazio e l'Abruzzo, accompagnata dalla dicitura "il satellite vede bene, difendiamo i confini", scriveva "Forza Etna, Forza Vesuvio, Forza Marsili".
Per il tribunale, il post possedeva senza dubbio connotazioni discriminatorie e propagandistiche idonee a concretizzare la fattispecie di reato contestata, aggravate dalla diffusione virale della comunicazione in rete.
La Corte d'appello di Milano, invece, di diverso avviso, riteneva che la condotta della consigliera fosse sprovvista di tali connotazioni, atteso che il contenuto del commento postato non possedeva caratteristiche tali da offendere il bene giuridico protetto dalla norma. E su tale assunto assolveva, appunto, l'imputata.
La parte civile ricorreva al Palazzaccio chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

La decisione - Per gli Ermellini, però, il ricorso è infondato. È pacifico, scrivono nella sentenza, che il commento della politica, sotto il profilo ideologico, rimanda a disvalori di discriminazione razziale e di intolleranza, tuttavia il post non può essere valutato per la sua "astratta valenza discriminatoria" ma va contestualizzato e inserito nel contesto "palesemente paradossale in cui venivano pronunciate le parole incriminate".
Per cui, la S.C. condivide pienamente la decisione della Corte d'Appello, ritenendo compiuto "un vaglio ineccepibile" dai giudici di merito, posta la cornice dalla natura "manifestamente paradossale" in cui è avvenuta la comunicazione telematica.
Né può rilevare in senso sfavorevole all'imputata la carica politica dalla stessa rivestita.
Il contesto e i toni e utilizzati dall'imputata per manifestare il suo pensiero "del tutto contrastanti con le elementari regole del buon senso, ancorché spregevoli moralmente" in definitiva escludono qualsiasi connotazione discriminatoria e propagandistica idonee a ledere il bene giuridico tutelato.

Cassazione –Sezione I penale – Sentenza 21 febbraio 2020 n. 6933

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