Penale

Fallimento e reati tributari, il sequestro risparmia i terzi

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Nei reati tributari il sequestro penale e la successiva confisca prevalgono sul fallimento della società anche se intervenuto prima della misura cautelare. Tuttavia, i beni appartenenti alle persone estranee al reato e quelli acquisiti in buona fede non possono essere sottoposti a nessun vincolo. A fornire questa rigorosa interpretazione è la Corte di cassazione con la sentenza 15776 depositata ieri.

Il Gip sequestrava in via diretta somme depositate sui conti di una società dichiarata fallita, il cui amministratore era indagato per il reato di indebita compensazione di crediti inesistenti.

Le somme, secondo l'ipotesi accusatoria, rappresentavano il profitto del reato conseguito dalla società, a nulla rilevando il fallimento avvenuto alcuni anni prima.

Il curatore impugnava in Cassazione la decisione del tribunale lamentando, tra l'altro, che le somme sequestrate, in realtà, non fossero più nella disponibilità del reo stante l'avvenuto fallimento. Il curatore è l'organo gestore della procedura regolata dalla legge e, quale ausiliario dello Stato, opera sotto la vigilanza del giudice delegato potendo destinare il denaro della procedura a spese autorizzate previste dalla legge ovvero il pagamento dei creditori sotto il controllo giudiziario.

Il sequestro disposto successivamente alla dichiarazione di fallimento, secondo la difesa, non poteva colpire il conto della società, posto che era stato sottratto alla disponibilità del reo.

Così la confisca, nell'intento di impedire la restituzione al responsabile degli illeciti dei benefici conseguenti all'attività delittuosa, rischiava di avere effetti illegittimi nei confronti dei creditori in buona fede.

La misura cautelare, in concreto, aveva colpito non il patrimonio dell'indagato ma quello della procedura fallimentare (soggetto terzo) totalmente diverso dalla società.

Nel corso della procedura, inoltre, era stata autorizzata l'assistenza di vari professionisti che avevano maturato crediti prededucibili non ancora liquidati dal giudice delegato: il sequestro aveva così privato anche tali professionisti dei loro legittimi compensi

La Corte di cassazione ha parzialmente accolto il ricorso. I giudici danno innanzitutto atto dell'orientamento di legittimità secondo cui, nei reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, non può essere adottato sui beni già assoggettati alla procedura fallimentare, in quanto la dichiarazione di fallimento fa venir meno il potere di disporre, in capo al fallito, del proprio patrimonio.

Secondo, invece, un altro orientamento legittimità, cui aveva aderito il tribunale del riesame, il sequestro penale prevale sui diritti di credito vantati dai terzi stante l'obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro. Le finalità del fallimento, pertanto, non assorbono la funzione prioritaria assolta dal sequestro.

La sentenza, dopo aver manifestato l'adesione a quest'ultimo è più rigoroso orientamento sulla prevalenza del sequestro penale rispetto alle esigenze del fallimento, ha precisato che devono essere comunque garantiti i diritti dei terzi.

Ne consegue che il giudice penale, nel disporre il sequestro, deve valutare, se eventuali diritti vantati da terzi, siano o meno stati acquisiti in buona fede. In caso positivo il bene, la cui titolarità sia vantata da un terzo, non può essere sottoposto a sequestro, né a confisca.

Se è vero infatti che il sequestro penale è destinato a prevalere sugli interessi dei creditori alla salvaguardia dell'attivo fallimentare, è tuttavia innegabile che, sul piano pratico, risulti indispensabile circoscrivere compiutamente l'entità di quanto confiscabile, senza arrecare pregiudizio alle concorrenti pretese creditorie. Nel caso specifico la verifica non era stata compiuta dal tribunale del riesame che si era limitato a sostenere la prevalenza assoluta del sequestro penale rispetto al fallimento. Da qui l'accoglimento, almeno sotto questo profilo, del ricorso della curatela.

Corte di cassazione – Sezione III – Sentenza 25 maggio 2020 n.15776

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