Penale

Intercettazioni, legittime le videoregistrazioni in luoghi non riconducibili al concetto di domicilio

di Giuseppe Amato

Sono legittime le videoregistrazioni aventi a oggetto comportamenti comunicativi e non comunicativi disposte dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini preliminari in luoghi non riconducibili al concetto di domicilio. Nel caso di specie per cui si è espressa la Cassazione con la sentenza 5253/2020 le telecamere erano state allocate all'interno delle scale di un edificio e al di fuori del pianerottolo di un appartamento. Tali attività di captazione delle immagini - se eseguite in luoghi pubblici, aperti o esposti al pubblico per esigenze lavorative e non - sono qualificabili come prova atipica e quindi utilizzabili senza alcuna necessità di autorizzazione preventiva del giudice (la Corte ha precisato che il pianerottolo delle scale di un fabbricato in condominio costituisce un luogo aperto al pubblico, in quanto consente l'accesso a una indistinta categoria di persone e non soltanto ai condomini, che hanno la possibilità giuridica e pratica di accedervi senza legittima opposizione di chi su detto luogo esercita un potere di fatto o di diritto).

La giurisprudenza è pacifica nel senso che le scale di un condominio e i pianerottoli delle scale condominiali non sono luoghi privati, perché non assolvono alla funzione di consentire l'esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti essendo destinati all'uso di un numero indeterminato di soggetti (tra le tante, Sezione II, 10 novembre 2006, Di Michele e altro; nonché, Sezione IV, 29 maggio 2018 Montagna e alti). In proposito, va ricordato, più in generale, che le videoregistrazioni in luoghi pubblici, ovvero aperti o esposti al pubblico, effettuate dalla polizia giudiziaria, devono essere annoverate tra le cosiddette "prove atipiche"; conseguendone l'inapplicabilità degli articoli 266 e seguenti del Cpp, che si applicano alle sole ipotesi di intercettazioni delle conversazioni telefoniche o ambientali e delle videoregistrazioni da effettuarsi mediante intrusione nella privata dimora o nel domicilio [cfr. sezione II, 24 aprile 2013, Bonasia].

Tale orientamento si ricollega alla nota decisione delle sezioni Unite 28 marzo 2006, Prisco. In tale occasione, tra l'altro, le sezioni Unite hanno affrontato anche la questione della legittimità e utilizzabilità a fini di prova delle riprese visive effettuate «in luoghi pubblici». In proposito, la Corte si è espressa nel senso della piena utilizzabilità come prova delle immagini così ottenute, tanto nel caso di riprese effettuate «al di fuori del procedimento» (ad esempio, nell'ipotesi di registrazioni effettuate con impianti di videosorveglianza installati in pubblici esercizi o in quella di registrazioni delle immagini di episodi di violenze negli stadi; si veda, anzi, relativamente a tale ultimo esempio, il disposto dell'articolo 8, comma 1- ter della legge 13 dicembre 1989 n. 401, e successive modifiche, che ne fonda l'utilizzabilità anche ai fini dell'arresto in flagranza), quanto nel caso di riprese avvenute nell'ambito delle indagini di polizia giudiziaria (ad esempio, nell'ipotesi della captazione di immagini nell'ambito delle operazioni di osservazione e pedinamento).

Le prime, hanno osservato le sezioni Unite, possono essere introdotte nel processo come documenti e diventare quindi una prova documentale.

Le altre, invece, effettuate nel corso delle indagini, costituiscono la documentazione dell'attività investigativa, e non documenti, cosicché sono suscettibili di utilizzazione probatoria se e in quanto riconducibili alla categoria delle cosiddette prove atipiche, con la conseguenza che sull'ammissibilità della prova derivante dalle videoregistrazioni dovrà pronunciarsi il giudice quando sarà richiesto della sua assunzione nel dibattimento (spettando poi sempre al giudice di individuare lo strumento - perizia o mera riproduzione - che dovrà essere utilizzato per conoscere e visionare le immagini acquisite).

Cassazione - Sezione VI penale – Sentenza 7 febbraio 2020 n. 5253

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