Penale

Bancarotta post fallimentare per distrazione, no alla condanna senza distinzione costi-ricavi

di Patrizia Maciocchi

Per far scattare il reato di bancarotta post fallimentare per distrazione non basta che il fallito abbia utilizzato i proventi dell'attività lavorativa senza aver chiesto e ottenuto il via libera dal giudice delegato per le somme che aveva il diritto di trattenere. La materialità del fatto di bancarotta per distrazione richiede, infatti, la concreta sottrazione delle somme, che superino il limite massimo previsto dalla disciplina sul fallimento. Di conseguenza, in assenza di una determinazione da parte del giudice delegato del denaro che il fallito può trattenere, spetta al giudice penale, effettuare, incidentalmente, la valutazione tenendo presente le esigenze di mantenimento del fallito e della sua famiglia. Sul fallito resta comunque l'onere di dimostrare la natura e l'entità delle spese e le passività. La Cassazione, con la sentenza 15650, accoglie sul punto il ricorso contro la condanna per bancarotta fraudolenta post- fallimentare, scattata per aver distratto risorse alla procedura concorsuale. La Suprema corte, ricorda che, come noto, non esiste un divieto assoluto per il fallito di lavorare dopo la dichiarazione di fallimento, ma c'è l'obbligo di non depauperare il patrimonio sociale e di versare parte dei proventi dell'attività lavorativa svolta nella massa fallimentare, salvo quanto necessario per il mantenimento. Nel caso esaminato il ricorrente era stato considerato responsabile del reato in virtù delle risorse trattenute. Per La Suprema corte però la corte territoriale, pur sottolineando la carenza di accertamenti relativi ai costi, fa riferimento genericamente ad attività svolta in nero, reputata di per sé, utile a superare i limiti posti dall'articolo 46 della legge fallimentare, visto l'omesso versamento alla procedura fallimentare dei guadagni. Senza però distinguere tra guadagni e ricavi. La sentenza va dunque annullata e sarà il fallito provare anche in via induttiva i costi sostenuti per l'attività lavorativa

Corte di cassazione – Sezione V – Sentenza 21 maggio 2020 n.15650

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