Penale

Necessario dimostrare il dolo specifico per il trasferimento fraudolento di valori

di Giuseppe Amato

Il reato di trasferimento fraudolento di valori si realizza attraverso l'attribuzione ad altri di denaro, beni o altre utilità - suscettibili di confisca a titolo di misura di prevenzione patrimoniale - in base a una vicenda negoziale con effetti traslativi che soltanto all'apparenza faccia acquisire a terzi la titolarità o la disponibilità del bene, in realtà rimasto nel patrimonio e sotto il controllo del soggetto apparente cedente e il delitto può sussistere anche in relazione a un'attività economica in corso, nel senso che il reato può configurarsi non solo con riferimento al momento iniziale dell'impresa, ma anche in una fase successiva, allorquando in un'impresa o società, sorta in modo lecito, si inserisca un terzo quale socio occulto, che, attraverso lo schema dell'interposizione fittizia, persegua le finalità illecite previste dalla norma. In questa prospettiva, ai fini della configurabilità del reato, sotto il profilo materiale, non è sufficiente l'accertamento della mera disponibilità del bene da parte di chi non ne risulti formalmente titolare, ma occorre la prova, sia pure indiziaria, della provenienza delle risorse economiche impiegate per il suo acquisto da parte del soggetto che intenda eludere l'applicazione di misure di prevenzione. Mentre, da punto di vista soggettivo, occorre la dimostrazione del dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale in capo a tutti i concorrenti del reato; tale scopo assumendo un duplice significato: da un lato, riferito all'intenzione dell'agente di provocare un evento lesivo, dall'altro, riferito all'oggettiva idoneità dell'azione a produrre tale risultato. E' quando ha stabilito la Sezione VI della Cassazione penale con sentenza 12 giugno 2020 n. 18125.

L'identikit del reato - Come è noto, il reato [già] previsto dall'articolo 12- quinquies, comma 1, del decreto legge 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992 n. 356 (ora, disciplinato dall'articolo 512-bis del Cp), è una fattispecie a forma libera, che si concretizza nell'attribuzione fittizia della titolarità o della disponibilità di denaro, beni o altra utilità, realizzata in qualsiasi forma al fine di eludere misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando ovvero per agevolare la commissione di delitti di ricettazione, riciclaggio o reimpiego di beni di provenienza illecita, con la precisazione che l'espressione "attribuzione" ha una valenza ampia che rinvia non soltanto alle forme negoziali tradizionalmente intese, ma a qualsiasi tipologia di atti idonea a creare un apparente rapporto di signoria tra un determinato soggetto e il denaro, i beni o le altre utilità rispetto alle quali, però, rimane intatto il potere di colui che effettua l'attribuzione o per conto o nell'interesse del quale l'attribuzione è operata. (cfr. sezione I, 10 luglio 2007, Brusca e altri; nonché, sezione I, 26 aprile 2007, Di Cataldo; più di recente, sezione II, 21 gennaio 2019, Riela e altri, secondo la quale il termine "attribuzione" prescinde da un trasferimento in senso tecnico-giuridico, rimandando, non a negozi giuridici tipicamente definiti ovvero a precise forme negoziali, ma piuttosto fa riferimento a una indeterminata casistica, individuabile anche soltanto attraverso la comune caratteristica del mantenimento dell'effettivo potere sul bene "attribuito" in capo al soggetto che effettua l'attribuzione ovvero per conto o nell'interesse del quale l'attribuzione medesima viene compiuta, richiedendosi soltanto l'accertamento che il bene che appaia nella "titolarità o disponibilità" di un soggetto, in realtà sia riconducibile a un soggetto diverso). La condotta di "attribuzione", finalizzata a creare una situazione di apparenza giuridica e formale della titolarità e della disponibilità dei beni, del denaro o delle altre utilità non corrispondente alla realtà, presuppone comunque, a tal fine, che il soggetto che procede all'attribuzione stessa, o nell'interesse del quale la medesima è effettuata, sia il reale dominus, che ricorre ad atti o operazioni simulate per sottrarsi a eventuali provvedimenti ablativi previsti dalla legislazione in tema di misure di prevenzione patrimoniali o per agevolare la commissione di reati connessi alla circolazione di mezzi economici di provenienza illecita. Da ciò deriva che per la configurabilità del reato è necessario accertare l'esatta identità del "reale" intestatario dei beni, perché solo in tal modo è possibile apprezzare la "fittizietà" dell'attribuzione, da cui può farsi discendere l'addebito concorsuale a carico sia dell'intestatario reale che di quello fittizio (sezione II, 15 marzo 2013, Morra e altro). Assolutamente pacifico, poi, è l'assunto secondo cui il dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice, consistente (fra l'altro) nel fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione, può sussistere non solo quando sia già in atto la procedura di prevenzione, ma anche prima che la procedura sia intrapresa, quando l'interessato possa fondatamente presumerne imminente l'inizio (cfr., ancora, sezione I, 26 aprile 2007, Di Cataldo). In linea con tale affermazione, cfr. di recente, sezione II, 21 febbraio 2018, Fasciani e altri, laddove si è così affermato che anche l'affitto di un ramo di azienda o l'amministrazione fittizia possono integrare ipotesi di attribuzione fittizia, dirette a creare una realtà giuridica apparente nell'interesse del reale dominus; con l'ulteriore precisazione che il reato sussisterebbe anche allorquando l'atto dispositivo sia formalmente posto in essere da un soggetto diverso dal titolare del bene; nonché, sezione VI, 5 giugno 2018, Traina, che si è particolarmente soffermato sull'elemento soggettivo, sostenendo che il reato richiede che tutti i concorrenti nel reato abbiano agito con il dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, per la cui prova in giudizio non è sufficiente dar conto della fittizia attribuzione della titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità: solo il dolo specifico, consistente nella precipua finalità di elusione delle misure di prevenzione patrimoniali, qualifica infatti la condotta, differenziandola da una lecita simulazione di carattere civilistico.

Corte di Cassazione – Sezione VI – Sentenza 12 giugno 2020 n. 18125

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