Penale

Sempre necessaria una motivazione analitica nel caso di reati fallimentari

di Andrea Magagnoli

E' onere del giudice di appello motivare adeguatamente la sentenza nel caso di reati fallimentari, evitando di ricorrere ad un richiamo generico al provvedimento di primo grado non idoneo a garantire adeguatamente il diritto di difesa dell'imputato. Lo afferma la corte di cassazione con la sentenza n.15427/2020.
Un imputato, infatti,,condannato in secondo grado per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale accertati nel corso di un fallimento, ricorreva per cassazione al fin di ottenere l' annullamento della pronuncia di secondo grado. Il legale dell' imputato osservava come la sentenza emessa nei confronti del proprio assistito avrebbe dovuto essere riformata, in quanto contrastante con le disposizioni vigenti in materia di redazione dei provvedimenti di condanna relativi a reati fallimentari che prevedevano ben altre modalità ed oneri per i giudici di merito. Precisava infatti il difensore come i giudici di appello, avessero motivato il proprio provvedimento con un semplice richiamo generico alla decisione emessa in primo grado.
La loro pronuncia pertanto difettava di tassatività, dato che aveva omesso di prendere posizione su tutti i punti della tesi difensiva tanto da comportare una lesione irreversibile ed irreparabile del diritto di difesa del ricorrente odierno che ne richiedeva la tutela.
Concludeva pertanto il legale come da tale omissione non potesse che derivare la nullità del provvedimento oggetto dell' impugnazione.
Il procedimento dopo avere compiuto il proprio corso veniva deciso con la sentenza n.15427/2020 qui in commento. La problematica decisa nel caso di specie, riguarda le modalità di redazione delle sentenze di condanna e gli oneri che incombono sui giudici di merito in tali casi. I giudici della corte suprema assumono una posizione piuttosto rigorosa circa tali modalità individuando in capo ai magistrati precisi obblighi ed oneri che debbono essere in ogni caso ottemperati in sede di redazione dei provvedimenti di condanna per reati fallimentari. Osservano infatti gli ermellini come i giudici di appello che intendano emettere un provvedimento di condanna nei confronti dell' imputato, non possano motivare la loro decisione con un semplice richiamo apodittico e generico al provvedimento di primo grado, necessitando in tali casi una diversa tecnica redazionale molto più analitica ed estesa diretta a garantire ad ogni modo il diritto di difesa dell' imputato.
Nel caso infatti in cui il provvedimento venga motivato con il generico richiamo alla decisione di primo grado, l' imputato verrebbe leso nei propri diritti fondamentali ed in particolare nel proprio diritto di difesa tutelato nel corso del procedimento penale dall' articolo 24 della costituzione.
Infatti nel caso in cui i giudici di appello redigessero la motivazione della loro decisione compiendo un semplice richiamo alla decisione di primo grado l'imputato non potrebbe avere la contezza esatta delle ragioni della sua condanna e delle motivazioni del rigetto delle proprie tesi difensive rappresentate nel caso di specie.
I giudici della corte di appello, infatti, debbono al fine di emettere un provvedimento valido, motivare adeguatamente la propria decisione prendendo posizione su tutti i punti della tesi difensiva rappresentata dall' imputato nel caso oggetto del giudizio.
Solo in tale caso il diritto di difesa previsto a chiare lette nel dettato costituzionale si può considerare adeguatamente tutelato in sede di giudizio di secondo grado.

Corte di Cassazione – Sentenza 15427/2020

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