Penale

Detenuti psichiatrici, dopo la Consulta la Cassazione apre ai domiciliari

Francesco Machina Grifeo

Prima decisione a favore dei detenuti psichiatrici da parte della Cassazione, dopo che la Corte costituzionale, nell'aprile scorso (sentenza n. 99/2020), ha dichiarato illegittimo l'art. 47-ter, co. 1.ter, Ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede che, in caso di grave infermità psichica sopravvenuta, il Tribunale di sorveglianza possa disporre la detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di pena. La Prima Sezione penale, sentenza 23474/2020, ha così accolto, con rinvio, la richiesta di un uomo recluso, per un cumulo di pene, da 5 anni e mezzo ed affetto da una grave disturbo ossessivo compulsivo accertato da un medico psichiatra ed in precedenza riconosciuto anche da un altro tribunale di sorveglianza che gli aveva concesso di scontare il residuo pena ai domiciliari.

Tornato in carcere per altri reati, si era nuovamente rivolto al giudice ed al Tribunale di sorveglianza che però non hanno ravvisato ragioni per il rinvio dell'esecuzione della pena (o domiciliari), "atteso che lo stato morboso, non definibile come grave, non comportava una certa prognosi infausta quoad vitam, né risultava che egli potesse giovarsi, in libertà, di cure e trattamenti sanitari non praticabili in detenzione". Né tantomeno l'espiazione della pena "si palesava in contrasto con il senso di umanità, attesa la adeguatezza delle cure apprestabili in regime detentivo"

Tutt'altro il quadro offerto dalla difesa secondo cui il Tribunale aveva del tutto ignorato la perizia dello psichiatra che aveva dato conto di una situazione clinica "incompatibile con la protrazione dello stato di restrizione intramuraria ". Era stata invece privilegiata la Relazione del Presidio medico interno alla Casa circondariale di Teramo, in tal modo "obliterando le carenze dell'offerta sanitaria dell'istituto, non compensate da una irragionevole somministrazione di psicofarmaci, inidonea a curare le patologie del detenuto, che sarebbero peggiorate in maniera pesante e incontrollata".

Il ricorso è stato accolto dalla Suprema corte che ricorda come la Relazione del medico collimi con il giudizio cui era pervenuto, alcuni anni prima, il Magistrato di sorveglianza di Vercelli, il quale aveva concesso di proseguire la espiazione della pena residua in regime di detenzione domiciliare. Dopo la sentenza della Consulta, afferma la Corte, "è ora possibile concedere, alla persona affetta da gravi problematiche psichiatriche, la misura della detenzione domiciliare, la cui applicazione deve essere valutata all'esito di un articolato giudizio nel quale devono confluire, alla luce della ratio dell'istituto e della ridefinizione del suo perimetro conseguente alla declaratoria di incostituzionalità, il dato relativo alla incidenza sulle condizioni psichiche della protrazione della detenzione, quello attinente agli interventi terapeutici non efficacemente esperibili all'interno del carcere e, infine, quello concernente la attuale pericolosità sociale (da apprezzare non soltanto in base ai precedenti penali e al residuo fine pena, ma anche all'incidenza della patologia sul grado di efficienza psico-fisica e sulla connessa capacità di porre in essere condotte criminose di una qualche gravità)".

Corte di cassazione - Sentenza 3 agosto 2020 n. 23474

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