Penale

Aggravante comune, procedibilità d'ufficio e aumento sanzioni

di Giuseppe Amato


Per la configurabilità delle aggravanti previste dalla legge 113/2020 occorre che il fatto lesivo avvenga nei confronti del soggetto «nell'esercizio o a causa» dell'attività sanitaria svolta.

Le condizioni di applicabilità delle aggravanti - Nonostante l'uso della "disgiuntiva" (nell'esercizio «o» a causa), è da ritenere che non possano ravvisarsi le aggravanti per fatti "privati" benché compiuti «nell'esercizio delle funzioni », in quanto si tratterebbe di fatti inidonei ad attingere il proprium della tutela penale rafforzata (che, come si è visto, è connesso all'esigenza di evitare pregiudizi per il libero esercizio dell'attività professionale).
In altri termini, non basterebbe per ravvisare le aggravanti la commissione del fatto (pur) nel momento in cui il soggetto esercita la funzione, ove la condotta sia volta ad attingere, per ragioni private, solo la sua personalità individuale: non basterebbe, cioè, un semplice rapporto di contestualità o di contemporaneità tra l'atto e l'esercizio della funzione, perché sarebbe insussistente il presupposto della maggiore tutela quando il fatto fosse determinato da motivi estranei alle mansioni del soggetto passivo.

L'aggravante comune - Il rafforzamento della tutela sanzionatoria è accompagnato dall'introduzione di un'ipotesi di circostanza aggravante comune (aumento della pena fino a un terzo), per i delitti commessi, con violenza o minaccia, in danno degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nonché di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni, a causa o nell'esercizio di tali professioni o attività.
Si tratta, esemplificando, di ipotesi circostanziale applicabile all'ipotesi base di lesioni personali dolose, ma anche altri reati, qualificati dalla violenza e/o dalla minaccia, rispetto ai quali sia ravvisabile il detto contesto funzionale con lo svolgimento dell'attività (si pensi, alla violenza privata, ma anche alla minaccia).
La circostanza è ovviamente inapplicabile quando la medesima costituisce elemento costitutivo del reato (cfr. articolo 61, comma 1, primo periodo, del Cp): con la conseguenza che è inapplicabile rispetto ai reati di cui agli articoli 336 e 337 del Cp, laddove commessi in danno di sanitari in servizio presso strutture sanitarie pubbliche e ricorrono i presupposti di tali reati.
Anche per tale circostanza valgono, però, le considerazioni sopra sviluppate a proposito del significato da attribuire all'espressione «a causa o nell'esercizio» dell'attività.
Per cogliere l'ambito di operatività dell'aggravante in esame, va ancora osservato che, proprio rispetto ai fatti commessi in danno di personale in servizio presso strutture pubbliche, vi è una parziale coincidenza di applicabilità con l'aggravante comune di avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio.
La coincidenza è però parziale.
Infatti, in primo luogo, l'aggravante qui introdotta, diversamente da quella di cui al numero 10 dell'articolo 61, si applica solo nei casi di "delitti" (non le contravvenzioni) commessi con «violenza o minaccia».
In secondo luogo, l'aggravante di cui al numero 11-octies riguarda genericamente qualunque esercente l'attività sanitaria, anche se questa sia svolta in ambito privatistico, mentre l'altra aggravante è pur sempre limitata ai fatti commessi in danno di personale in servizio presso strutture pubbliche, presupponendo la configurabilità di un soggetto incaricato di un pubblico servizio. Infine, mentre per quella di cui al numero 11-octies, come si è visto, occorre un necessario collegamento funzionale con l'attività, quella di cui al numero 10, in ragione della diversa formulazione letterale ("nell'atto"), sembra configurabile anche in presenza di un semplice rapporto di contestualità o di contemporaneità tra l'atto e l'esercizio della funzione non rilevando affatto che il reato sia determinato da motivi estranei alle mansioni del soggetto passivo (cfr. sezione V, 20 maggio 1986, Cappone).
Laddove risulti comunque una effettiva coincidenza di applicabilità nel caso concreto, per evitare ingiustificate duplicazioni di pena, dovrebbe farsi ricorso alla disciplina dell'articolo 68 del Cp, in tema di limiti al concorso di circostanze.

La procedibilità d'ufficio per le percosse e le lesioni lievi - In parallelo all'introduzione di questa aggravante comune funzionale si interviene sul regime di procedibilità (normalmente) a querela previsto per i delitti di percosse e di lesioni personali dolose "base" (ergo, in presenza di una malattia di durata non superiore a venti giorni).
In deroga, si stabilisce la procedibilità d'ufficio nel caso di ricorrenza di tale aggravante comune,
Rispetto la reato di percosse, va solo ricordato che l'articolo 581, comma 2, del Cp sancisce il principio secondo cui, nelle fattispecie penali a base violenta, che prevedono la violenza come requisito esplicito o implicito, la violenza - nel cui concetto rientrano molteplici comportamenti che possono essere già di per sé reato (ad esempio, percosse, minacce e altro) - resta assorbita, sotto il profilo normativo, nelle altre fattispecie complesse solo allorquando sia contenuta nei limiti delle percosse; la violenza esulante dalla fattispecie di percosse assume, dunque, un'autonoma rilevanza penale, sotto il profilo della ulteriore qualificazione normativa. Ne deriva la configurabilità del concorso di reati tra la violenza privata e le lesioni personali, proprio per la plusvalenza di violenza rispetto alle percosse. Anzi, una conferma della configurabilità del concorso di reati si deduce anche dalla non omogeneità dei beni giuridici tutelati: la libertà morale, nella violenza privata, e l'integrità fisica, nelle lesioni personali (di recente, sezione V, 13 novembre 2019, Spada).

La sanzione amministrativa - Solo per completezza, e sempre nell'ottica di rafforzare la tutela contro condotte lesive del corretto svolgimento dell'attività sanitaria, si introduce, quando il fatto non costituisca reato, una nuova, specifica sanzione amministrativa da 500 a 5000 euro per chiunque tenga condotte violente, ingiuriose, offensive, ovvero moleste nei confronti di personale esercente una professione sanitaria o socio sanitaria di incaricati di pubblico servizio presso strutture sanitarie e socio sanitarie pubbliche o private.
Il legislatore ha però mancato di chiarire quale sia l'autorità amministrativa competente a irrogare la sanzione. Né sembra praticabile con tranquillità un rinvio semplicistico, vista la particolarità della materia (sanitaria, ma anche qualificata da spiccata valenza pubblicistica), al disposto dell'articolo 17 della legge 24 novembre 1981 n. 689.
Inoltre, risulta evidente un ulteriore difetto di coordinamento con l'illecito civile sottoposto a sanzione pecuniaria introdotto con l'articolo 4 del decreto legislativo 15 gennaio 2016 n. 7, a seguito della coeva abrogazione del reato di ingiuria, realizzata in forza dell'articolo 1, comma 1, lettera c), dello stesso decreto legislativo n. 7 del 2016.
Si tratta di disposizione di cui si può pronosticare la pratica inapplicabilità.

I soggetti tutelati - Per l'individuazione dell'ambito soggettivo della tutela («esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nonché chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni, a causa o nell'esercizio di tali professioni o attività») assume immediato rilievo l'articolo 1 della legge che a sua volta rinvia alla legge 11 gennaio 2018 n. 3, contenente disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie (cosiddetta legge Lorenzin). Ai fini delle presenti disposizioni, infatti, si intendono quali professioni sanitarie quelle individuate dagli articoli 4 e da 6 a 9 della legge n. 3 del 2018 e quali professioni socio-sanitarie quelle individuate dall'articolo 5 della medesima legge n. 3 del 2018 .
Non è dubbia, allora, l'applicabilità della tutela, nella ricorrenza delle condizioni temporali e causali dell'esercizio delle funzioni, ai medici-chirurghi, agli odontoiatri, ai veterinari, ai farmacisti, ai biologi, ai fisici, ai chimici, agli esercenti le professioni infermieristiche, agli esercenti la professione di ostetrica, ai tecnici, ai sanitari di radiologia medica, agli esercenti le professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione (si veda, in particolare, articolo 4 di detta legge, dedicato al riordino della disciplina degli Ordini delle professioni sanitarie), nonché agli psicologi (articolo 9 della legge citata).
Così come alle nuove figure professionali dell'osteopata e del chiropratico (si veda articolo 7 della legge n. 3 del 2018).
La disciplina è inoltre applicabile, quali esercenti professioni socio-sanitarie, all'operatore socio-sanitario, all'assistente sociale, al sociologo e all'educatore professionale (articolo 5 della legge citata).
Non è altresì dubbia l'estensione della tutela agli ausiliari che svolgono attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso: tra questi, in primo luogo, il personale ausiliare dell'equipaggio del 118.

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