Penale

"Motivazione rafforzata" se il giudice di appello riforma la pronuncia assolutoria di primo grado

di Giuseppe Amato

Quando il giudice di appello riforma la pronuncia assolutoria del primo grado è richiesta l'adozione della cosiddetta "motivazione rafforzata", consistente, spiega la Cassazione con la sentenza 23594/2020, nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina delle questioni controverse, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore. Ciò, peraltro, vale solo con riferimento alle sole questioni relative all'accertamento e ricostruzione del fatto, perché la necessità, per il giudice di appello, di redigere una motivazione "rafforzata" sussiste solo allorché la riforma della decisione di primo grado si fondi su una mutata valutazione delle prove acquisite, e non anche quando essa sia legittimata da una diversa valutazione in diritto, operata sul presupposto dell'erroneità di quella formulata del primo giudice.

È assunto pacifico quello secondo cui, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato e la insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuti (sezioni Unite, 12 luglio 2005, Mannino; cfr., tra le tante, anche sezione III, 26 giugno 2014, Marini, nonché, sezione IV, 20 marzo 2018, Borgnino, laddove si è specificato il significato di motivazione "rafforzata", da intendere nel senso che il giudice di secondo grado deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi redigere una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata a elementi di prova diversi o diversamente valutati).

Per converso, è altrettanto pacifico il principio dell'"integrazione" tra la motivazione della sentenza di secondo grado con quella della sentenza di primo grado in caso di decisione di conferma, cosicché non sussiste mancanza o vizio di motivazione allorquando il giudice di secondo grado, in conseguenza della ritenuta completezza e correttezza dell'indagine svolta in primo grado, confermi la decisione del primo giudice: in tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. In questa prospettiva, nella motivazione della sentenza, il giudice di appello non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi logicamente le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di avere tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive, che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (tra le tante, sezione VI, 19 ottobre 2012, Muià e altri).

Cassazione – Sezione II penale – Sentenza 6 agosto 2020 n. 23594

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