Penale

Evita l'omicidio il naturopata che "cura" il cancro con la dieta

Francesco Machina Grifeo

L'ignoranza del naturopata in materia medica lo salva in corner dalla condanna per omicidio volontario per aver curato con fanghi e diete una donna malata di cancro. È scattato infatti il diverso e molto meno grave reato di aver cagionato la «morte come conseguenza di altro delitto» - l'esercizio abusivo della professione -, per un uomo che «proprio in ragione dell'orientamento culturale seguito» non si sarebbe accorto della gravità della situazione, ritenendo «la naturopatia alternativa alla medicina».

La Prima Sezione penale, sentenza n. 26951 depositato il 28 settembre, ha così respinto il ricorso della Procura generale della Corte di Appello che insisteva invece sul carattere notorio della gravità e della letalità del cancro.

Le sentenze di merito, ricorda la decisione, hanno riconosciuto che l'imputato era consapevole della diagnosi oncologica, ed anche dell'aumento delle dimensioni del tumore, «ma hanno valutato che l'assenza di competenze mediche impedisse al soggetto di essere consapevole, al di là della generica cognizione della gravità di qualsiasi diagnosi oncologica, del fatto che nel caso specifico l'accesso alle terapie indicate dalla scienza medica fosse necessario e indifferibile».

D'altra parte, argomentano i giudici, «è incontestato il dato della assoluta ignoranza nella scienza medica da parte dell'imputato, come il fatto che medesimo esercitasse la naturopatia non tanto come supporto complementare alla medicina, bensì come scienza alternativa alla medicina».

Così, venendo all'elemento soggettivo del reato, per la Corte è stato correttamente escluso che il naturopata «avesse previsto la prossima morte della donna proprio in ragione dell'orientamento culturale seguito». «Tale dato è pacifico e costituisce, da una parte, riscontro dell'assenza di dolo omicidiario e, dall'altra, la colpa dell'imputato».

Corte di cassazione - Sentenza 28 settembre 2020 n. 26951

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