Penale

Il Csm recuperi la funzione di indirizzo politico

di Sergio Lorusso

Lo chiamano il Parlamentino dei giudici. E questo basterebbe a descrivere e a inquadrare la natura politica del Csm, organo che gestisce le carriere dei magistrati e le nomine dei vertici degli uffici giudiziari. E che proprio su questo terreno è scivolato con il caso Palamara, da cui è emerso un quadro impietoso delle dinamiche di conferimento degli incarichi apicali legate a doppio filo all’azione delle correnti.

L’organo di autogoverno - che poi di autogoverno non è, stante la sua composizione mista tesa proprio a evitare che il Csm diventi una struttura corporativa e autoreferenziale - ha smarrito, strada facendo, la sua funzione di indirizzo politico (cioè di politica giudiziaria) tesa a garantire per Costituzione l’indipendenza della magistratura e la qualità dell’amministrazione della giustizia. Perché l’attuale condizione non riesce a garantirne l’attuazione? Perché la crisi conclamata del Csm è giunta ormai a livelli intollerabili?

Si diceva del dilagare delle correnti.

Nate per garantire un pluralismo di idee all’interno dell’Anm, hanno finito per diventare - come i partiti deideologizzati - strumenti di gestione degli incarichi direttivi.

Quali chances di cambiare lo stato delle cose ha una riforma del Csm e quali dovrebbero essere i punti qualificanti su cui agire?

Il progetto Bonafede intende intervenire - in maniera un po’ farraginosa - sulle modalità di elezione, introducendo collegi uninominali e doppio turno, e sul numero dei consiglieri, elevato a trenta, per garantire una maggiore rappresentatività privilegiando le qualità dei singoli rispetto ai gruppi di riferimento. Sarà così? La capacità di penetrazione delle correnti induce quantomeno a essere prudenti. Del resto, i politici lo sanno, non esiste un sistema elettorale perfetto e spesso una riforma in questo campo produce effetti antitetici a quelli attesi.

Vi sono altre strade percorribili?

È sul terreno dei rapporti numerici tra laici e togati che potrebbe individuarsi una soluzione dirompente (che richiederebbe una modifica costituzionale). L’attuale composizione non è l’unica possibile, come dimostra il confronto con gli omologhi organi di altri Paesi europei. E come emerge dai lavori dell’Assemblea Costituente, nella cui proposta originaria il rapporto era addirittura paritario. Difficile certo oggi dare piena fiducia alla politica. Si potrebbe allora attribuire al Presidente della Repubblica - che però del Csm è anche il Presidente - il potere di nominare una parte dei consiglieri. L’obiettivo primario, quale che sia la soluzione in concreto adottata, è quello di ricalibrare gli equilibri interni restituendo il Csm alle sue funzioni originarie.

Si tratta di una missione (quasi) impossibile. Le norme camminano sulle gambe degli uomini e i loro effetti spesso vanno al di là delle buone intenzioni di chi le propone. Mai come in questo caso un mutamento di costume è indispensabile. La gravità della situazione, tuttavia, impone di provarci.

L’autore è ordinario di diritto processuale penale all’Università di Foggia


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