Professione e Mercato

Liti da climate change: in campo gli studi legali

di Valentina Maglione

L’emergenza globale del cambiamento climatico sta entrando sempre più spesso nelle aule di giustizia. Continuano ad aumentare infatti le controversie che mettono al centro gli effetti provocati dall’uomo sull’ambiente.

È un fenomeno ormai assodato negli Stati Uniti, dove si concentra la maggior parte delle cause. Ma, negli ultimi anni, il “contenzioso climatico” si è diffuso anche nel resto del mondo, Europa compresa. Il rapporto «Climate change: succeed in a lower-carbon future», elaborato dallo studio legale Herbert Smith Freehills,censisce 884 cause in materia di cambiamenti climatici avviate nel 2017, di cui 654 (il 74% del totale) negli Usa; le restanti sono sparse in 24 Paesi e la metà è concentrata in Europa. Mentre in Italia si sta preparando la prima causa in materia di “giustizia climatica”, che avrà come controparte lo Stato italiano (si veda l’articolo a fianco).

Quattro campi di intervento
A livello internazionale, spiega l’avvocato Pietro Pouché, of counsel di Herbert Smith Freehills, «le liti sul cambiamento climatico tenderanno a concentrarsi su quattro potenziali macroaree: il contenzioso sulla responsabilità extracontrattuale delle aziende, accusate di aver contribuito con le loro condotte a modificare il clima; le azioni contro gli Stati, a cui sarà contestato di non aver adottato misure idonee a ridurre i livelli di inquinamento; le cause intentate dalle compagnie assicurative contro le imprese; e le azioni di responsabilità sociale, avviate dagli azionisti che non condividono le scelte degli amministratori delle società». Pouché rileva che «sono controversie complesse, perché richiedono di accertare condotte che hanno avuto origine nel passato, i cui effetti stanno esplodendo ora. Inoltre, è molto difficile individuare le responsabilità e ripartirle, quando sono coinvolte più società, come spesso accade nelle class action statunitensi».

Il contenzioso in origine si è concentrato contro gli Stati. Che sia un filone battuto lo dimostra il «Model statute» per i procedimenti contro i Governi che non agiscono contro il cambiamento climatico, predisposto dalla International bar association (Iba) e che sarà presentato domani a Londra. Si tratta di un regolamento che fornisce una guida per agire in giudizio e fare pressione sugli Stati perché intervengano per mitigare gli effetti del climate change.

Nel mirino l’industria informatica
Ma ora «il focus si sta spostando sempre più sulle imprese», afferma Christian Di Mauro, partner dello studio legale Hogan Lovells. «Inizialmente - spiega - sono state coinvolte le società che producono idrocarburi, perché è più facile mettere in relazione la loro attività con l’aumento dei gas serra. Ma ora - prosegue - il focus si sta spostando anche su altri settori di business più “insospettabili”, come quello informatico: le imprese tecnologiche usano grandi quantità di energia e si stanno interrogando sul rischio di essere sottoposte a contenziosi per il loro impatto sul clima». Un tema approfondito di recente dalla Science unit di Hogan Lovells, un team di scienziati che supporta gli avvocati sulle questioni scientifiche: «È emerso - racconta Di Mauro - che è possibile stabilire un collegamento tra una determinata attività svolta da una società e il danno al singolo. Ciò allarga la possibilità di chiamare in causa le imprese».

Gli avvocati, quindi, da un lato «devono attrezzarsi per gestire il contenzioso legato al cambiamento climatico», rileva Cecilia Buresti, partner dello studio legale Norton Rose Fulbright. Dall’altro lato, ci sono «le ricadute assicurative: i legali devono supportare le compagnie nella revisione dei prodotti per coprire i rischi che nascono da eventi climatici eccezionali; è poi già attuale il rischio degli amministratori di subire azioni di responsabilità sociale, in aumento anche a causa delle modifiche legislative che impongono obblighi più stringenti nella governance delle imprese a tutela dell’ambiente. Sempre più spesso gli stakeholder fanno causa al board ritenuto responsabile del mancato rispetto delle regole, che porta a sanzioni, anche gravi come il sequestro di impianti o stabilimenti che può comportare il blocco dell’attività produttiva».

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