Professione e Mercato

Per l'avvocatura il Cura Italia dimentica la categoria: cassa forense pronta con il fondo calamità

di Patrizia Maciocchi


Per gli avvocati luci e ombre nel decreto “Cura Italia”. Bene le misure a tutela della salute dei cittadini decisamente meno soddisfazione c'è per le tutele previste per i legali, considerate del tutto insufficienti. Il Consiglio nazionale forense e l'Associazione nazionale forense esprimono sul punto più di una perplessità.
Per Maria Masi, presidente facente funzioni del Cnf “Dall'analisi del maxi decreto “Cura Italia” emerge la condivisibile preoccupazione del governo di ampliare, in questa fase di emergenza per la diffusione del Covid-19, la tutela della salute dei cittadini anche, e soprattutto, nell'ambito del lavoro dipendente e in parte in quello autonomo. In quest'ottica, anche per effetto delle sollecitazioni e delle espresse richieste dell'avvocatura, sono stati apportati interventi sulla giustizia atti a chiarire dubbi interpretativi e a colmare lacune, come l'estensione delle esigenze di tutela ai settori civile, amministrativo e tributario declinandone le specificità” . Meno condivisibili per Maria Masi gli interventi sul settore penale, rispetto al quale lascia perplessi la sospensione dei termini di custodia cautelare e delle altre forme coercitive e interdittive, oltre agli ulteriori oneri a carico dei difensori per la notifica delle impugnazioni.
Ma il vero cahier de doleance riguarda la tutela della categoria colpita dalla crisi dovuta al fermo per l'emergenza sanitaria.
La presidente del Cnf apprezza lo sforzo di bilanciare gli interessi e i diritti degni di tutela. Ma non basta. L'attenzione per l'avvocatura non si è, infatti, tradotta in una forma di sostegno economico e in una tutela, più che mai necessari in una situazione destinata a durare ben oltre l'allerta Coronavirus.
“Il Cnf avrà cura, raccolte le istanze dell'avvocatura, - informa Maria Masi - di formalizzare una proposta emendativa finalizzata a intervenire nei settori che ancora necessitano di correttivi e all'individuazione di forme dirette di sostegno e di tutela compatibili con la professione di avvocato e in linea con i principi a cui si ispira”.
Più o meno sulla stessa linea l'Associazione nazionale forense. Nel mirino del presidente Luigi Pansini entrano le nuove disposizioni dettate per il settore penale che creano una compressione dei diritti fondamentali costituzionalmente protetti rispetto al processo e all'ordinamento penitenziario che può essere accettata solo temporaneamente. Anche sul fronte civile Pansini mette in guardia dal rischio che l'emergenza sanitaria possa favorire interpretazioni distorte. Bene l'iniziativa di istituire un fondo a carico della fiscalità generale per fronteggiare la crisi letto come un segnale di attenzione per i professionisti. Ma per il numero uno di Anf sarà Cassa forense a dover intervenire a sostegno degli avvocati, dopo il primo pacchetto di misure adottato la settimana scorsa dal suo Cda “In questo momento deve emergere lo spirito solidaristico del nostro ente di previdenza – sostiene Pansini - che dovrà individuare incisive misure di sostegno in favore delle fasce più in difficoltà e più meritevoli di tutela, non dando adito a forme, peraltro insostenibili, di assistenza a pioggia ed indiscriminata. Con una nota di ieri, abbiamo dato la nostra disponibilità al riguardo e indicato possibili soluzioni su cui confrontarsi”. E Cassa forense non si tira indietro ma chiama in causa il governo “Le risorse disponibili possono essere solo quelle destinate all'assistenza – dice il presidente Nunzio Luciano – compreso un fondo dedicato alle calamità naturali, che potremmo utilizzare. Ma sono 20 milioni di euro, nel caso da dedicare alle fasce più deboli e a quelle più colpite dall'effetto coronavirus. Oltre alle sospensioni degli adempimenti già deliberate, stiamo studiando altri provvedimenti che potranno essere utili all'avvocatura. Pescando però sempre sui contributi disponibili – precisa Luciano - senza toccare il patrimonio dell'ente. Per il resto la palla deve passare allo Stato che deve intervenire come ha fatto con le altre categorie. Non c'è bisogno di ricordare che i liberi professionisti con famiglie e indotto rappresentano il 10% della popolazione italiana”.

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