Professione e Mercato

Lo smart working funziona ma per ora non si fattura

di Antonello Cherchi e Valeria Uva

Se ci sarà un lascito positivo di questi tempi drammatici, quello sarà probabilmente la conversione di gran parte delle persone al lavoro agile. La pandemia ha costretto a ripensare la logistica e l’organizzazione delle attività, che non sempre sono diminuite. Ne sanno qualcosa i professionisti: commercialisti e consulenti del lavoro sono mediamente sotto pressione, alle prese, per esempio, con le richieste di chiarimenti sui tanti adempimenti del Governo. Soffrono di più gli avvocati, che hanno dovuto sospendere l’attività contenziosa. Tutti, però, accomunati dallo smart working, che in alcuni casi ha richiesto repentini adeguamenti tecnologici, in altri solo qualche aggiustamento in corsa di un sistema già pronto per il lavoro da remoto.

Un grazie alla e-fattura
È quanto accaduto a Emanuele Serina, dottore commercialista di 39 anni con studi a Crema e Milano. «Siamo a circa venti chilometri in linea d’aria da Codogno - racconta - e alcune dipendenti arrivano da lì. Per fortuna non ci sono stati contagiati, ma da subito abbiamo preso tutte le precauzioni. Abbiamo iniziato a fare i turni, ma poi abbiamo chiuso lo studio e ora lavoriamo da casa». Serina”ringrazia” la fatturazione elettronica: «Prima si lavorava al 70% con la carta. Con l’e-fattura siamo stati costretti a smaterializzare i documenti e questo ci ha agevolato nel passaggio allo smart working. Alcuni partner e collaboratori, inoltre, già lavoravano da remoto e con alcuni clienti avevamo attivato il cloud. Insomma, non è stato un salto nel vuoto».

Ciò ha permesso di reggere bene l’urto non solo del ripensamento della giornata lavorativa, ma anche delle nuove attività. Il lavoro, infatti, in queste settimane è aumentato. «Le consulenze sui tanti provvedimenti governativi e l’attivazione delle procedure per la cassa integrazione - commenta il quarantenne Matteo De Lise, dottore commercialista a Napoli e dal 31 marzo prossimo nuovo presidente dell’Unione nazionale giovani dottori commercialisti - hanno impresso un’accelerazione alla nostra attività, che in questo momento svolgiamo interamente da remoto. Ma eravamo pronti: io e un socio, per esempio, giriamo l’Italia e siamo abituati allo smart working».

Si lavora ma senza incassi
Sembra, insomma, che il riposizionamento non sia stato improbo. Anche se - avverte Deborah Righetti, 42 anni con studio a Modena, vicepresidente dell’Unione giovani dottori commercialisti - «non bisogna dimenticare alcune zone del Paese, come i comuni montani, che possono avere problemi di connessione a internet. Per il resto,il passaggio al lavoro da remoto può forse essere stato un po’ problematico per i colleghi più anziani, magari legati a un modello di attività tradizionale. Per quanto negli studi si sia, in generale, molto dematerializzato, soprattutto dopo la fattura elettronica». Pure Righetti conferma l’aumento del lavoro. «Il problema - chiosa - sarà semmai quello di incassare le parcelle, perché tutto è rallentato e i pagamenti vengono posticipati».

Anche per i consulenti del lavoro sono settimane impegnative: prima con le procedure di attivazione dello smart working e ora, purtroppo, con le pratiche per la cassa integrazione. «Io ho scelto di venire in studio, lasciando a casa i collaboratori - precisa Fabrizio Bontempo, titolare dell’omonimo studio torinese e presidente dei giovani consulenti del lavoro - dopo che la Regione Piemonte ha chiarito che gli studi professionali sono tra le attività che possono restare aperte, ma non nascondo che gestire le riunioni via Skype appesantisce i tempi rispetto agli scambi tra le scrivanie».

Sullo sfondo ci sono anche le preoccupazioni per il futuro :«Per senso di responsabilità, io come altri colleghi abbiamo avviato le richieste di ammortizzatori senza emettere alcuna fattura - aggiunge Bontempo - ma non so neanche quanti tra i miei clienti resteranno in attività nei prossimi mesi».

È come fosse agosto
Se alcune categorie professionali hanno dovuto riorganizzare il lavoro anche per far fronte ai picchi di richieste, la situazione invece è molto diversa per gli avvocati. Prendiamo ad esempio quelli specializzati nel contenzioso. Con i tribunali praticamente fermi e i clienti costretti a restare in casa, di fatto si è bloccata tutta l’attività giurisdizionale. Cosi il presidente di Aiga (l’Associazione dei giovani avvocati), Antonio De Angelis, racconta la propria esperienza, comune a moltissimi suoi colleghi: «Mi occupo principalmente di diritto amministrativo, in particolare di concorsi pubblici: un settore ora paralizzato». Nel suo caso il problema non è l’organizzazione: «Non ho avuto difficoltà a traslocare lo studio in casa e posso fare fronte a tutte le richieste indifferibili, ma di fatto non ricevo chiamate dai clienti, è come se fosse agosto». «Se dovesse continuare a lungo - paventa De Angelis - c’è il rischio che un’intera generazione di giovani avvocati, quella dei trentenni che hanno piccoli studi autonomi o lavorano come monocommittenti, debba chiudere».

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