Civile

Sul conto del condomino non c’è il reddito dell’amministratore

di Giulio Benedetti

Quel che transita sul conto corrente del condominio non può essere considerato, in assenza di prove valide, reddito imponibile dell’amministratore.

Così la Cassazione (ordinanza 3211/2020) ha bacchettato l’agenzia delle Entrate che pretendeva di considerare imponibili ai fini Iva, Irap e Irpef le somme che transitavano sui conti correnti intestati ai vari condomìni da lui amministrati, usati, secondo l’agenzai, fittiziamente per nascondere i suoi redditi.

L’articolo 1129 del Codice civile obbliga l’amministratore a fare transitare le somme ricevute dai condòmini o da terzi in appositi e distinti conti correnti , bancari o postali. In particolare la norma impedisce all’amministratore di versare detto denaro in un solo conto corrente condominiale a lui intestato, in modo da evitare la confusione tra le poste sue personali e quelle dei condòmini.

La mancata tenuta del conto corrente è una grave irregolarità che legittima i condòmini a chiedere all’autorità giudiziaria la revoca dell’amministratore.

Ma l’osservanza di questa norma può suscitare la curiosità (in questo caso mal riposta) del Fisco. È questo il caso trattato dalla Cassazione, che ha rigettato, condannandola al pagamento delle spese di giudizio, il ricorso dell’agenzia delle Entrate contro una sentenza favorevole a un amministratore di condominio .

A quest’ultimo era stato contestato l’omesso versamento delle imposte sui redditi, dell’Iva e dell’Irap in riferimento ad un accertamento fiscale compiuto sui conti correnti bancari intestati ai condomìni ed utilizzati dall’amministratore. La Commissione Tributaria Regionale aveva già spiegato alle Entrate che le operazioni eseguite su questi conti correnti condominiali erano state erroneamente riferite all’amministratore.

L’Ufficio, però, ricorreva avverso detta sentenza sostenendo che , sulla base degli accertamenti compiuti ai sensi dell’articolo 32 del Dpr 600/73 e dell’articolo 51 del Dpr 633/1972, sussisteva la presunzione della natura fittizia dell’intestazione dei predetti conti ai condomini, che erano in realtà riconducibili all’amministratore, il quale operava con lo schermo condominiale, per eludere il pagamento delle imposte dovute sulla sua attività.

La Corte di Cassazione non accoglieva il ricorso, in quanto riteneva che l’Ufficio non avesse provato la presunzione della pertinenza alla parte contribuente dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche con essa collegate.

Per la Cassazione l’Ufficio non aveva apportato , nel giudizio indizi tali da provare che per detti conti correnti l’intestazione ai singoli condomini fosse fittizia, ovvero che esprimesse un’apparenza finalizzata a fare risultare come altrui le operazioni compiute dall’amministratore, pur avendo questi la delega di operare sugli stessi in forza della sua qualifica professionale.

Quindi , per il giudice di legittimità, l’Ufficio non aveva provato che l’amministratore avesse tenuto una condotta elusiva tributaria. Il Fisco avrebbe dovuto indicare gli elementi concreti, diversi dalla semplice relazione con l’intestatario , che collegassero il conto al contribuente. Tali elementi possono essere di natura presuntiva, quali l’assenza di fonti giuridiche apparenti che giustifichino i versamenti in conto , oppure la coincidenza tra i versamenti o i prelevamenti e operazioni di presumibile equivalente valore effettuate dal contribuente, o anche l’abnormità delle movimentazioni di denaro rispetto all’attività del titolare del conto.

Corte di cassazione – Sezione Tributaria – Ordinanza 11 febbraio 2020 n.3211

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