Amministrativo

Interdittiva antimafia off limits per i privati Il Cds invita a rivedere la norma

Francesco Machina Grifeo

Compete unicamente alla pubblica amministrazione l'informativa sulla interdittiva antimafia della Prefettura. Essa dunque non può essere chiesta dai privati, nè sortisce effetti nei contratti stipulati in ambito privatistico. Lo ha chiarito il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 452 del 20 gennaio 2020, accogliendo il ricorso di un'impresa oggetto di una richiesta di comunicazione antimafia avanzata alla Prefettura di Brescia da Confindustria Venezia nell'ambito del "Protocollo di legalità". Il Collegio, tuttavia, preso atto delle lettera della norma che dal 2012 limita l'interdittiva all'ambito pubblico, auspica apertamente un ritorno al passato con un revirement da parte Legislatore.

Secondo il comma 1 dell'articolo 83 del Dlgs 159/2011, ricorda la decisione, i soggetti che devono acquisire la documentazione antimafia prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, sono le Pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici. Il Legislatore, prosegue Il Cds, ha quindi previsto che il potere del Perfetto intervenga quando il privato entra in rapporto con l'Amministrazione. Nel caso di rapporti tra privati, invece, «la normativa antimafia nulla prevede».

«Tale vuoto normativo – spiega il Collegio - non può certo essere colmato dal Protocollo della legalità e dal suo Atto aggiuntivo, entrambi stipulati tra il Ministero dell'interno e Confindustria». «Si tratta, infatti di un atto stipulato tra due soggetti, che finirebbe per estendere ad un soggetto terzo, estraneo a tale rapporto, effetti inibitori, che la legge ha espressamente voluto applicare ai soli casi in cui il privato in odore di mafia contragga con una parte pubblica».

A questo punto però il Cds ricorda che prima della novella introdotta dall'articolo 4, Dlgs 218/2012, il comma 1 dell'articolo 87 (Dlgs n. 159/2011) prevedeva espressamente la possibilità che a chiedere la comunicazione antimafia fosse un soggetto privato. E prende decisamente posizione a favore di un ritorno alla normativa precedente, invitando a riflettere sulle conseguenze della svolta che «lascia alle imprese "più probabilmente che non" colluse o in contatto con le mafie la possibilità di operare nel settore privato, nel quale probabilmente è ancora più forte la capacità "persuasiva" delle minacce e della violenza fisica o psicologica, tipica della mafia». «Sembra - continua - che il d.lgs. n. 218 del 2012 abbia aperto una breccia nella trama intessuta dal Codice delle leggi antimafia».

Per cui, conclude la sentenza, «occorre interrogarsi se le istituzioni non possano valutare il ritorno alla originaria formulazione del Codice Antimafia, nel senso che l'informazione antimafia possa essere richiesta anche da un soggetto privato ed anche per rapporti esclusivamente tra privati». Soltanto un tale intervento infatti potrebbe, in vicende come quella oggi in esame, permettere l'applicabilità generalizzata della documentazione antimafia.

Consiglio di Stato - Sentenza n. 452 del 20 gennaio 2020

Corte di cassazione - Sentenza 21 gennaio 2020 n. 1165

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