Civile

Assegno divorzile, possibile la revisione solo con effettive modifiche della condizione economica

di Valentina Finotti


Con la sentenza n. 1119 del 2020 la Cassazione ha chiarito che l'espressione «giustificati motivi» utilizzata dall'articolo 9 della legge 898/1970, deve continuare a essere interpretata secondo quello che è il consolidato indirizzo giurisprudenziale formatosi su questo specifico articolo, non potendo, invece, il mutamento dell'orientamento interpretativo che si è sviluppato - a partire dalla sentenza n. 18287 del 2018 - relativamente al diverso articolo 5 della legge sul divorzio, incidere sull'articolo 9 della medesima legge, tanto da stravolgerne la portata e i presupposti applicativi e finendo per creare una regola iuris diversa da quella voluta dal legislatore.

I giustificati motivi - In particolare, si ricordi che il diritto vivente ha interpretato i «giustificati motivi» ex articolo 9 della legge sul divorzio come quei mutamenti sopravvenuti rispetto alla decisione di divorzio, che possono consistere in:
a) un peggioramento delle condizioni economiche dell'obbligato (ad esempio, a causa di licenziamento, dimissioni, pensionamento, riduzione delle entrate economiche, cessazione dell'attività professionale, insorgenza di malattie);
b) in un miglioramento delle sue condizioni economiche (ad esempio, incrementi nei guadagni, un'importante crescita professionale, la percezione del Tfr, si veda Cassazione 9 gennaio 2003 n. 113; Cassazione, sezioni Unite, n. 9415 del 1995), sempre che detto miglioramento non costituisca uno sviluppo prevedibile di attività svolte in costanza di matrimonio (Cassazione n. 1906 del 2008);
c) e, infine, in un miglioramento/peggioramento delle condizioni economiche del beneficiario dell'assegno divorzile.
Questi fatti devono essere accertati, provati e documentati e devono aver inciso sensibilmente sull'assetto economico-patrimoniale definito al momento della pronuncia di divorzio.
Il fatto, quindi, che ci sia stato un decisivo mutamento giurisprudenziale in ordine all'interpretazione dell'articolo 5, comma 6, della legge sul divorzio (Cassazione, sezioni Unite, n. 18287/2018) - per cui l'assegno divorzile oggi è riconosciuto, o quando vi sia una profonda disparità economica dei coniugi causalmente collegabile ai sacrifici (professionali e reddituali) sostenuti nel corso del matrimonio dal coniuge che, al momento del divorzio, è economicamente più debole (l'assegno in questo caso assume una funzione compensativo/riequilibrativa rispetto all'iniqua situazione economica esistente al momento del divorzio), o in funzione prettamente assistenziale, quando cioè al momento del divorzio uno dei coniugi, senza sua colpa, non è in grado di procurarsi i mezzi per avere una vita "dignitosa" - non può incidere sull'interpretazione del diverso articolo 9 della legge sul divorzio.

Dare alla formula dei «giustificati motivi» un significato che si riferisca anche alla sopravvenienza di una diversa interpretazione avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, per la Cassazione costituisce un'operazione esegetica non percorribile, importando conseguenze incongrue, sia nell'ipotesi di successivo mutamento giurisprudenziale, sia nell'ipotesi in cui il giudice di merito, non tenuto per legge al principio dello stare decisis, non aderisse alla nuova linea interpretativa, anche resa in sede nomofilattica dalla Corte.

La pronuncia sull'assegno di divorzio copre il dedotto e il deducibile, per cui - sostengono i giudici con la decisione n. 1119/2020 - se non ci sono nuovi elementi di fatto che, non solo, mutino effettivamente la situazione patrimoniale degli ex coniugi, ma, inoltre, modifichino sostanzialmente le condizioni valutate dal giudice all'atto della pronuncia di divorzio (sul punto si veda anche Cassazione, sezione I, sentenza 16 dicembre 2004 n. 23359), il giudizio di revisione ex articolo 9 della legge sul divorzio nemmeno ha ragione di aprirsi.

Solo se l'accertamento appena descritto si conclude positivamente, non solo si procederà alla revisione dell'assegno di divorzio, ma esso sarà anche ricalcolato - in questo caso sì - alla luce del nuovo insegnamento giurisprudenziale circa l'esclusiva funzione compensativa e/o assistenziale dell'assegno.

L'overruling in giurisprudenza - Nel rendere questa decisione la Suprema corte prende spunto da una recente sentenza delle sezioni Unite, la n. 4135 del 2019, in tema di cosiddetto "overruling" e "prospectiveoverruling", istituti che derivano dal sistema anglosassone, oggi riconosciuti anche nel nostro ordinamento.
L'overruling consente al giudice di decidere il caso sottopostogli in base alla nuova interpretazione giurisprudenziale della norma da applicare, così superando i precedenti e utilizzando il nuovo orientamento della giurisprudenza retroattivamente, ossia a fattispecie verificatesi quando ancora l'interpretazione della norma era diversa (sul punto "Prospectiveoverrulinge procedimento amministrativo" di Margherita Roffi, in «Urbanistica/Appalti» 2/2019).

Tuttavia a partire dalla Cassazione civile, sezioni Unite, 11 luglio 2011 n. 15144, si è andato ad affermare il cosiddetto prospective overruling che consente al giudice di continuare a decidere sulla base della norma per come interpretata dai precedenti giurisprudenziali oramai superati e ciò, sia quando l'innovazione comporta un effetto preclusivo del diritto di difesa o di azione, sia per tutelare il ragionevole affidamento di coloro che hanno determinato il loro agire prevedendone le conseguenze sulla base di quello che, fino ad allora, era il consolidato diritto vivente, poi modificatosi a causa dell'imprevedibile mutamento giurisprudenziale.

Tuttavia gli istituti appena descritti si applicano esclusivamente al mutamento interpretativo a opera del giudice di legittimità della legge processuale: si deve, cioè, vertere in materia di mutamento della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo, e non, invece, su disposizioni di natura sostanziale (Cassazione 13 settembre 2018 n. 22345; 18 luglio 2016 n. 14634; 24 marzo 2014 n. 6862; 3 settembre 2013 n. 20172; 11 marzo 2013 n. 5962).

Nel caso del mutamento interpretativo relativo ai presupposti attributivi dell'assegno non siamo in presenza di un cambiamento relativo a una regola processuale.
Ecco perché il mutamento giurisprudenziale afferente l'an e la determinazione dell'ammontare dell'assegno divorzile non può intaccare l'applicazione dell'articolo 9 della legge sul divorzio: i «giustificati motivi» - (intesi dal diritto consolidato vivente come "fatti nuovi", sopravvenuti alla sentenza di divorzio - devono necessariamente sussistere, essendo elemento costitutivo della fattispecie presa in esame e, alla luce di essi (solo alla luce di essi) il giudice potrà rivalutare l'assegno anche considerando la nuova linea interpretativa che disancora l'assegno divorzile al «tenore di vita matrimoniale».
Infatti detta nuova linea interpretativa, sottolinea la sentenza in commento, «non ha efficacia cogente, ma solo persuasiva..., non è assimilabile allo ius superveniens… ed è suscettibile di essere disattesa dai giudici di merito». Altrimenti ragionando le decisioni potrebbero avere funzione para-normativa, vincolando i giudici di primo grado, ma tale possibilità è esclusa dal principio costituzionale di soggezione del giudice soltanto alla legge ex articolo 101 della Costituzione.
La giurisprudenza assolve - invece - a una funzione meramente dichiarativa, intesa a riconoscere l'esistenza e l'effettiva portata del diritto già posto (articolo 101 della Costituzione, comma 2), con esclusione formale di un'efficacia direttamente creativa di esso (Cassazione n. 4687 del 2011).

Gli assegni determinati prima della decisione 18287/2018 - In conclusione: tutti gli assegni divorzili già determinati prima della decisione della Cassazione n. 18287/2018, rispetto ai quali l'ammontare era stato deciso sulla base del «tenore di vita goduto in costanza di matrimonio» dall'ex coniuge più debole, mantengono la loro piena efficacia e potranno essere modificati solo se l'obbligato sarà in grado di portare fatti nuovi che ne giustifichino la revisione. Aperto, però, positivamente il procedimento di revisione dell'assegno divorzile grazie all'esistenza di «giustificati motivi», il giudice terrà conto necessariamente della mera funzione assistenziale e/o compensativa di esso, rideterminandolo anche alla luce di questo nuovo parametro.

Cassazione - Sezione I civile -Sentenza 20 gennaio 2020 n. 1119

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