Civile

Bancomat rubato, niente rimborso al titolare che conserva la carta vicino al Pin

di Michol Fiorendi

Il decorso di un breve spazio di tempo tra il furto di un bancomat e l’operazione di prelievo o di pagamento non autorizzata fa supporre con notevole grado di probabilità che il codice segreto fosse custodito insieme alla carta, fondando la presunzione di sussistenza di colpa grave del titolare e la violazione da parte sua degli obblighi di conservazione e sicurezza, relativamente alle disposizioni di legge e di contratto.

Lo ha ribadito l’Arbitro bancario finanziario di Torino che, con un provvedimento del 25 ottobre 2019 (presidente Lucchini Guastalla, relatore De Francesco), ha respinto il ricorso di un titolare di un bancomat che aveva subito il furto della carta e aveva chiesto alla banca la restituzione degli importi relativi alle operazioni di prelievo e di pagamento eseguite dopo il furto e da lui disconosciute. Ma la banca aveva negato il rimborso, affermando che l’utilizzatore del bancomat aveva violato l’obbligo di diligente custodia dello strumento di pagamento e delle credenziali e che aveva tenuto una condotta gravemente colposa, riconducibile a tre circostanze.

La mancata diligenza
La prima, quella di aver lasciato incustodita la carta di debito, durante l’operazione di sostituzione del pneumatico della propria auto, senza preoccuparsi di chiudere la vettura a chiave. La seconda, consistente nell’aver custodito la carta di debito rubata insieme ad altre e nell’aver annotato in stretto abbinamento alla stessa il suo codice segreto, agevolando la commissione del delitto. La terza: non aver bloccato tempestivamente la carta di debito dopo aver ricevuto il primo messaggio di alert della banca (ricevuto alle ore 18), bensì di aver atteso sino alla mattina successiva (alle ore 10), rendendo così possibili più operazioni di prelievo e non circoscrivendo l’ammontare del danno subito.

La contestualità tra furto e prelievo
Dalla ricostruzione dei fatti, si legge nel provvedimento dell’Abf, emerge che la prima operazione non autorizzata è stata effettuata in sostanza contestualmente al furto, o comunque poco dopo. In questi casi, il Collegio di coordinamento ha delineato alcuni indici presuntivi che devono guidare l’interprete nella valutazione della condotta delle parti ai fini dell’applicazione delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 11 del 2010 (testo oggi modificato dalla direttiva PSD2), in particolare per quanto riguarda l’elemento soggettivo del comportamento del titolare dello strumento di pagamento.

Pin poco segreto
Fra questi elementi, il Collegio conferisce particolare rilevanza proprio alla contestualità temporale fra la sottrazione della carta e il suo indebito utilizzo. Infatti, secondo il Collegio, la successione temporale degli eventi può far desumere con elevato grado di probabilità che il codice Pin fosse conservato insiema alla carta e a essa immediatamente associabile, al punto da renderne particolarmente agevole la digitazione per porre in essere le operazioni contestate dal ricorrente. Il comportamento dell’utilizzatore evidenzia quindi una violazione gravemente colposa degli obblighi di conservazione e di sicurezza che gravano su di lui, sia in relazione alle disposizioni di legge, sia in relazione alle disposizioni contrattuali (decisione 5304/13 del 17 ottobre 2013).

Va però anche evidenziato, come più volte rilevato dai Collegi Abf, che la normativa non fa discendere una presunzione di colpa a carico del cliente rispetto all’omessa diligente custodia dello strumento di pagamento dal semplice fatto che l’operazione sia stata eseguita mediante digitazione del Pin, ma «impone una valutazione caso per caso alla luce delle specifiche circostanze di fatto, valorizzando le singole e specifiche circostanze relative alla fattispecie di volta in volta sottoposte all’esame dell’Abf, in ordine alle quali è necessario verificare se – alla luce degli elementi costitutivi della fattispecie, stretti in intima connessione tra di loro, sia possibile desumere in capo all’utilizzatore un comportamento gravemente colposo».

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