Comunitario e Internazionale

Cgue: rischio tortura, stop estradizione dalla Ue anche per cittadini Efta

Francesco Machina Grifeo

No all'estradizione di cittadini extra Ue verso Stati in cui rischiano la pena di morte, o comunque la tortura, se appartengono ad uno Stato dell'European Free Trade Association, parte dell'accordo sullo Spazio economico europeo. Lo ha stabilito la Grande sezione della Corte Ue, con la sentenza del 2 aprile 2020 nella Causa C-897/19, negando l'estradizione verso la Russia di un uomo arrestato dalla Croazia mentre era in vacanza, a cui era stata concessa la cittadinanza islandese (paese Efta).

Per i giudici di Lussemburgo lo Stato membro deve anzitutto verificare che, in caso di estradizione, l'interessato non corra il rischio di essere sottoposto alla pena di morte, a tortura oppure a pene o a trattamenti inumani e degradanti. Nell'ambito di tale verifica costituisce un elemento particolarmente serio il fatto che all'interessato sia stato concesso l'asilo, in quello Stato, proprio per via del procedimento penale all'origine della domanda di estradizione. Inoltre, lo Stato membro deve informare lo Stato dell'Efta per consentirgli di chiedere la consegna del proprio cittadino, purché sia competente, in forza del suo diritto nazionale, a perseguire il cittadino in questione per fatti commessi fuori dal suo territorio nazionale.

Il caso – Tornando al caso specifico, nel maggio 2015, l'ufficio Interpol di Mosca ha pubblicato un avviso di ricerca internazionale nei confroni di un cittadino russo. Nel giugno 2019, quando aveva ormai acquisito la cittadinanza islandese, è stato arrestato in Croazia. Due mesi dopo, è arrivata la domanda di estradizione e il giudice croato l'ha autorizzata. A questo punto l'interessato si è rivolto alla Corte suprema paventando il rischio di essere torturato, e deducendo il fatto che l'Islanda gli aveva riconosciuto lo status di rifugiato, proprio per via del procedimento penale russo.

Per la Corte la situazione rientra nell'ambito di applicazione dell'accordo SEE, il quale fa parte integrante del diritto dell'Unione. Per giungere a tale conclusione, la Corte ha anzitutto evidenziato che l'Islanda oltre a essere membro dello spazio Schengen, partecipa al sistema europeo comune di asilo. La Corte ha poi rilevato che l'articolo 36 dell'accordo SEE garantisce la libera prestazione di servizi in maniera sostanzialmente identica all'articolo 56 Tfue che comprende la libertà di recarsi in un altro Stato per fruire in esso di un servizio. Ed è proprio quello che è avvenuto, argomenta la decisione, considerato che il cittadino islandese intendeva trascorrere le vacanze in Croazia e, pertanto, fruire in tale Stato di servizi turistici.

In secondo luogo, il fatto che all'interessato sia stato concesso l'asilo in Islanda, proprio sul procedimento penale all'origine della domanda di estradizione, in assenza di circostanze specifiche, quali «un'evoluzione significativa della situazione in Russia», deve portare la Croazia a rifiutare l'estradizione.

In conclusione, la Corte ha dichiarato che va applicata per analogia la soluzione accolta nella sentenza Petruhhin, laddove si dice che uno Stato membro a cui viene presentata una domanda di estradizione riguardante un cittadino dell'Unione, che ha la cittadinanza di un altro Stato membro e che si trovi nel suo territorio, deve informare quest'ultimo Stato membro e, su domanda di quest'ultimo, consegnargli il cittadino. Il cittadino islandese infatti si trova, nei confronti dello Stato terzo che chiede la sua estradizione, «in una situazione oggettivamente comparabile a quella di un cittadino dell'Unione al quale, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 2, TUE, l'Unione offre uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne nel cui ambito sia garantita la libera circolazione delle persone».

Corte Ue - Grande sezione - Sentenza 2 aprile 2020 nella Causa C-897/19

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