Comunitario e Internazionale

Migranti: Polonia, Ungheria e Repubblica ceca hanno violato le norme su ricollocamenti

Francesco Machina Grifeo

Rifiutando di conformarsi al meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale, la Polonia, l'Ungheria e la Repubblica ceca sono venute meno agli obblighi stabiliti dal diritto dell'Unione. Lo ha stabilito la Corte Ue, con la sentenza 2 aprile 2020 nelle cause riunite C-715/17, C-718/17 e C-719/17, accogliendo il ricorso per inadempimento della Commissione. Per i giudici, gli Stati non possono invocare le responsabilità in materia di ordine pubblico e di salvaguardia della sicurezza interna o il presunto malfunzionamento del meccanismo di ricollocazione per sottrarsi alla sua esecuzione.

La vicenda - La Corte ha riscontrato l'esistenza di un inadempimento da parte dei tre Stati membri di una decisione che il Consiglio aveva adottato (nel settembre 2015) ai fini della ricollocazione, su base obbligatoria, dalla Grecia e dall'Italia, di 120mila richiedenti protezione internazionale. La Polonia e la Repubblica ceca erano altresì venute meno ad una decisione precedente che riguardava il ricollocamento di altri 40mila richiedenti protezione sempre dalla Grecia e dall'italia.
Nel dicembre 2015, la Polonia aveva indicato di essere in grado di ricollocare nel suo territorio 100 persone ma poi non lo ha fatto. L'Ungheria, invece, non ha mai indicato il numero di persone che era in grado di ricollocare. Infine, la Repubblica ceca, nel maggio 2016, ha indicato in 50 il numero di persone che era in grado di accogliere.
Nel merito, poi, Polonia e Ungheria hanno sostenuto che in virtù dell'articolo 72 del Tfue potevano per ragioni di ordine pubblico omettere il ricollocamento.

Per i giudici di Lussemburgo tuttavia l'articolo 72 Tfue non conferisce agli Stati membri il potere di derogare alle disposizioni di diritto dell'Unione mediante il mero richiamo «al mantenimento dell'ordine pubblico» e «alla salvaguardia della sicurezza interna», ma impone di dimostrare la necessità di avvalersi della deroga.

La Corte precisa poi che le autorità degli Stati membri hanno un «ampio margine di discrezionalità» in materia di sicurezza, tuttavia esse «al termine di un esame caso per caso» devono basarsi «su elementi concordanti, oggettivi e precisi, che consentano di sospettare che il richiedente rappresenti un pericolo attuale o potenziale». Di conseguenza gli Stati non possono invocare ai soli fini di prevenzione generale e senza dimostrare un rapporto diretto con un caso individuale, l'articolo 72 Tfue per giustificare una sospensione, o perfino una cessazione degli obblighi incombenti in forza delle decisioni di ricollocazione.
Per quanto riguarda poi l'argomento, utilizzato dalla Repubblica ceca, del malfunzionamento del meccanismo di ricollocazione, la Corte ha chiairito che gli Stati non possono basarsi su di una «valutazione unilaterale della mancanza di efficacia o malfunzionamento del meccanismo di ricollocazione, per sottrarsi a qualsiasi obbligo di ricollocazione».

Corte Ue - Sentenza 2 aprile 2020 nelle cause riunite C-715/17, C-718/17 e C-719/17

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