Comunitario e Internazionale

Boom degli indennizzi da versare per violazioni dei diritti umani

di Marina Castellaneta

Boom di indennizzi da versare per le vittime di violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’Italia è al secondo posto tra i Paesi del Consiglio d’Europa per gli importi dovuti a seguito di condanne arrivate da Strasburgo. Peggio di tutti fa la Russia, ma l’Italia segue. Segno che, ancora in troppi casi, la Corte europea ha accertato violazioni convenzionali e imposto allo Stato il pagamento di un indennizzo alle vittime. Nel 2019, l’Italia ha versato 16.964.113 euro (un raddoppio rispetto al 2018, con 9.792.285 euro), con un secondo posto nella classifica degli Stati, preceduta solo dalla Russia (28.547.005 euro). Ulteriore dato negativo i ritardi nei pagamenti: in 21 casi (17 nel 2018) l’Italia ha rispettato i termini, ma in ben 42 no (28 nell’anno precedente). Lo scrive il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa nel rapporto annuale sullo stato dell’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo da parte degli Stati, presentato ad aprile 2020 e riferito all’anno precedente.

I ritardi

Gli Stati, se si guarda ai dati complessivi, hanno proceduto a eseguire le sentenze, ma non mancano ritardi nell’adozione di misure generali e individuali, necessarie a rimuovere i contrasti con i diritti convenzionali. Nel complesso, nel 2019, il Comitato, che è centrale per assicurare effettività al sistema di garanzia della Convenzione proprio per il controllo sull’attuazione delle sentenze, ha segnalato un tasso di chiusura del 108% di leading cases (ossia casi nei quali è stato accertato dalla Corte europea un problema strutturale sul piano nazionale), con un incremento del 41% rispetto al periodo 2000-2010. Nel 2019 - scrive il Comitato – sono stati chiusi 2.080 casi (214 leading cases) a fronte dei 2.705 dell’anno precedente, mentre sono 1.160 i nuovi casi arrivati sul tavolo del Comitato (con 178 leading cases). Rimangono, però, nell’agenda dei lavori del Comitato ancora 5.231 casi pendenti (al 31 dicembre 2019), con 1.245 leading cases. Segno che gli Stati devono ancora dare esecuzione a un numero alto - seppure in calo rispetto al 2018 (6.151) - di sentenze.

Le pendenze

Vediamo l’Italia. Nel 2019, sono stati 39 i nuovi casi sui quali il Comitato è stato chiamato a vigilare (con 8 leading cases) e, nel complesso, l’Italia “pesa” con 198 sentenze ancora da attuare, preceduta solo da un gruppo di 5 Paesi (Russia, Turchia, Ungheria, Ucraina e Romania). Ulteriore dato negativo il tasso di chiusura dei casi targati Italia che sono stati 86 a fronte dei 192 nel 2018. Non solo. l’Italia è tra gli Stati con il maggior numero di casi sottoposti a supervisione rafforzata: in testa la Russia (19%), segue l’Ucraina (17%), la Turchia (11%), la Romania (8%) e l’Italia (6%) a pari merito con la Bulgaria. Ancora alta, poi, l’incidenza delle condanne inflitte all'Italia sul piano degli indennizzi da versare, che gravano sul bilancio dello Stato. E intanto, entro il 2020, l’Italia dovrà attuare la sentenza Cordella e altri con la quale è stata condannata per l’inquinamento provocato dall’Ilva e la mancata adozione di misure adeguate. Nell’ultima sessione del 4 giugno, inoltre, il Comitato ha rinviato l’esame del caso Talpis di condanna all’Italia per l’inerzia nei casi di violenza domestica, ritenendo non ancora adeguate le misure adottate (la sentenza è definitiva dal 2017). Toni duri, nei confronti dell’Italia, sono arrivati dal Comitato dei ministri perché Roma non ha ancora attuato la sentenza Nasr e Ghali relativa a casi di extraordinary renditions compiuti in Italia da agenti della Cia, garantendo l’impunità agli autori del crimine.

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